Quei Francesi senza bussola

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La Francia occupa in Europa un posto centrale, suscitando nei suoi partner, in maniera ricorrente, grandi attese e forti irritazioni. Queste reazioni contraddittorie nascono dai tre principali paradossi della posizione francese a fronte dell’Europa. Il primo deriva dal contrasto tra la tentazione sovranazionale, oggi fortemente erosa, e la volontà  di costruire un’Europa delle nazioni e dei governi. Jean Monnet, Robert Schuman e Jacques Delors simboleggiano la prima di queste tendenze, mentre la seconda è illustrata dal generale de Gaulle e dai suoi eredi. Di fatto, queste due accezioni contrapposte della costruzione europea convivono in Francia e possono metterla in difficoltà , ma le hanno anche consentito di rimanere a lungo uno dei principali pilastri dell’Ue. Il secondo paradosso sta nel fatto che da un lato la Francia milita per un’Europa forte, mentre dall’altro si accontenta di istituzioni europee deboli. A suo parere, l’Europa dovrebbe consistere in una pura e semplice estensione del modello statuale, politico, economico, sociale e culturale francese, sul quale sviluppare la propria potenza. Ma poiché d’altra parte un’Europa troppo forte rischierebbe di indebolire la sovranità  nazionale e lo Stato-nazione, la Francia diffida di qualunque trasferimento di potere alle istanze europee. Infine, in passato la Francia faceva appello a una cooperazione integrale su scala dell’intera Europa, pur ritenendo, per ragioni storiche e geopolitiche, di dover esercitare un potere politico preminente, in stretta associazione con la Germania, conferendo a quest’ultima un ruolo strettamente economico. Se i due primi paradossi sono tuttora ben presenti e riconoscibili nell’azione politica del presidente Sarkozy, il terzo è in via di esaurimento. La concezione francese dell’Europa è esplosa dopo il 1989, con la caduta del muro di Berlino e il conseguente allargamento dell’Unione Europea, avversato dalla maggioranza dei decisori francesi. La riunificazione della Germania, la crescente potenza della sua economia e la sua fondamentale influenza sui nuovi arrivati hanno destabilizzato l’accoppiata franco-tedesca. Interviene infine un ultimo fattore di natura interna: tra gli anni Quaranta e Novanta la costruzione europea era stata concepita e attuata da élite politiche, economiche e amministrative illuminate, forti del sostegno di una parte della popolazione, al di là  dell’attaccamento dei francesi alla loro nazione e nonostante le rivolte contadine e i violenti scioperi del settore siderurgico degli anni ’70 e ’80. Dagli anni ’90 in poi abbiamo invece assistito al progredire dell’euroscetticismo, dell’ostilità  o addirittura dell’odio verso l’Europa. Lo dimostra la stentata approvazione del referendum sul Trattato di Maastricht nel 1992 (51% di si), e l’esito sferzante e traumatico del voto sul Trattato costituzionale nel 2005 (54,6% di no). Da allora, la Francia esita tra il rafforzamento dell’Europa (ma quale?) e la difesa preminente dei propri interessi. E si ritrova più che mai stretta nella morsa dei due primi paradossi sopra citati. Ma con tre differenze essenziali: un’Europa dei 27, ove i nuovi arrivati non sono affatto grandi estimatori della Francia, e un asse franco-tedesco in crisi. La ridefinizione della presenza francese nell’Unione e quella di un vero progetto europeo sono dunque imperative, per la Francia ma anche per l’Europa, se non vogliamo vederla più che mai incrinata e in regresso. (traduzione di Elisabetta Horvat)


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