Siria, un’altra strage nel venerdì dell’ira

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ALTINOZU (Frontiera turco-siriana) – Il “venerdì di preghiera”, che la repressione della rivolta in Siria ha trasformato in “venerdì di sangue”, ha imposto, anche ieri, un alto tributo di vite umane: 14 i morti nel corso di manifestazioni in tutto il paese. Evidentemente, l’annunciata uscita di scena di Rami Makhluf, l’oligarca più odiato del paese, considerato un simbolo della corruzione, cugino del presidente Assad, non è stata vista dalla gente come l’inizio di una nuova era. E la protesta è ripresa più virulenta che mai, coinvolgendo anche la città  di Aleppo, dove vive una cospicua minoranza cristiana generalmente fedele ai governanti di Damasco, e dove, per la prima volta, un manifestante è stato ucciso.
Un ulteriore segnale d’allarme sui rischi che l’onda d’urto del terremoto siriano possa propagarsi altrove con esiti devastanti, è venuto dal Libano, il paese confinante più esposto, storicamente e politicamente, all’influenza di Damasco. Nel primo pomeriggio di ieri, a Tripoli, la cosiddetta capitale libanese del Nord, ci sono stati scontri tra appartenenti alla setta degli alawiti, sostenitori del regime siriano, e gruppi di sunniti tendono in gran parte ad appoggiare la rivolta popolare. Tre i morti rimasti sul terreno tra cui un militare non in servizio coinvolto nel tiro incrociato.
Fra i possibili sbocchi della rivolta siriana, il peggiore è senza dubbio quello definito dagli esperti come “effetto domino”, dovuto all’esportazione delle tensioni tra le varie componenti etniche e religiose nei paesi vicini dove quelle componenti, come è il caso del Libano e dell’Iraq, per citare due esempi, sono presenti.
Ma c’è anche la Turchia, essa stessa un caleidoscopio di fedi, etnie ed appartenenze, ad osservare con preoccupazione gli eventi siriani. Se mai dovesse verificarsi, l “effetto domino” sarebbe qui moltiplicato per quattro. Un venerdì di sangue come quello di ieri accresce la paura, tra i governanti turchi, che la pressione dei siriani che cercano rifugio in Turchia possa aumentare. Già  sono oltre novemila i siriani in fuga ufficialmente accolti come profughi, ma le notizie che provengono dal nord della Siria, dove la città  Maarat al Numaan (200 mila abitanti) è stata circondata dall’esercito, sono tutt’altro che rassicuranti. Tra le scelte prese in considerazione ad Ankara, oltre alla creazione di una zona cuscinetto in territorio siriano dove fermare e assistere i profughi, viene valutata anche la possibilità  di tracciare un “corridoio umanitario” da Nord a Sud, lungo il confine.
Queste sono le ipotesi del futuro sulle quali Assad, sicuramente obbietterà . L’oggi, invece, è stato monopolizzato dallo show umanitario di Angelina Jolie, la star di Hollywood, ambasciatrice “di buona volontà ” delle Nazioni Unite, che ha voluto visitare i 1870 profughi siriani ospitati nella vecchia manifattura tabacchi di Altinozu, un paesino della provincia di Antiochia a 15 chilometri dal confine. Mentre i rifugiati, secondo le regole imposte dalle autorità  turche, devono tenersi alla larga dai giornalisti e viceversa, la visita dell’attrice ha ricevuto una copertura mediatica che non a tutti i capi di stato è concessa.

 


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