L’ombra del default sugli Usa

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Barack Obama ha scelto di parlare all’indomani della pubblicazione di dati disastrosi sull’andamento dell’occupazione americana, vestendo i pani del leader preoccupato del suo popolo e indignato per le lungaggini del Congresso, ormai pesantemente condizionato dai repubblicani, che «ritardano l’approvazione di leggi che creano lavoro». Sui dati non c’è molto da scherzare: appena 18.000 posti di lavoro in più creati a giugno, mentre ne servirebbero quasi dieci volte tanto per tenere il passo della crescita della popolazione e recuperare la differenza tra i posti bruciati dalla crisi (8 milioni) e quelli creati a suon di costosissimi «stimoli» (appena 2). Obama deve forzare la mano: se entro il 2 agosto non sarà  stata varata una legge che innalza il «tetto» del debito pubblico statunitense l’intera amministrazione federale non potrà  letteralmente più spendere un dollaro. Il fallimento nudo e crudo. È chiaramente solo un’ipotesi di scuola, ma l’avvicinarsi della scadenza rende più duro il confronto tra le due parti. I repubblicano vorrebbero un rapido aggiustamento dei conti pubblici fondato sui soli tagli di spesa (ma non al Pentagono); i democratici hanno lavorato a lungo per ridurre i vantaggi fiscali dei ceti più abbienti. Ora, a tre settimane dal baratro, e di fronte a «una ripresa ancora fragile e che non produce tutti i posti di lavoro di cui abbiamo bisogno», Obama propone un «approccio bilanciato» per risolvere il taglio del deficit di bilancio e il piano di riduzione del debito. Un po’ di tagli ai «programmi interni» – come l’assistenza Medicare per gli anziani o gli sgravi fiscali per i ricchi – ma anche una limatina alla spesa militare.
Un appello serio e aggrottato al «senso di responsabilità » dei parlamentari, che anche laggiù è merce rara. Ma senza molte speranze di trovare ascolto. E quindi il tono del discorso di ieri è stato anche accusatorio. I repubblicani, infatti, impediscono di «varare subito» il piano di costruzione e manutenzione delle infrastrutture, che potrebbero assorbire una buona parte della disoccupazione (specie quella con bassa professionalità ). Bloccano anche l’allargamento degli accordi con Panama e la Colombia, che agevolerebbero la vendita di merci e servizi in Sudamerica. Per non parlare della riforma fiscale, firmata in dicembre, che taglierebbe le imposte ai piccoli contribuenti e quindi permetterebbe loro di far ripartire i consumi; quindi anche una parte dell’economia.
Un accordo sul «nuovo tetto», insomma, sarà  comunque trovato: ci si scontra però fino all’ultimo minuto utile per salvaguardare interessi sociali ben individuabili e apertamente in contraddizione. Con la netta impressione che siano i repubblicani, in questo momento, ad avere il coltello dalla parte del manico. La ripresa dell’occupazione promessa, da Obama, in fondo, non si fa ancora vedere. E soprattutto sentire.


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