Sui diritti umani l’Europa detta legge

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La Corte ha condannato l’Inghilterra perché in un caso (Al-Jedda) i militari britannici avevano detenuto arbitrariamente dal 2004 al 2007 un iracheno (che aveva anche la cittadinanza britannica), sospettandolo di terrorismo. Nell’altro caso (Al-Skeini) alcuni civili iracheni che, secondo gli inglesi, erano sospettati di terrorismo o avevano partecipato ad azioni armate contro gli inglesi, erano stati uccisi nel 2003 da truppe britanniche; altri erano stati feriti, un altro era stato picchiato e poi fatto annegare in un fiume, e un altro ancora era morto per asfissia in una base militare britannica, dopo aver subito ben 93 ferite. Le autorità  inglesi avevano svolto indagini sommarie ma poi avevano deciso di non procedere penalmente contro i militari inglesi responsabili, o avevano inflitto pene irrisorie. In questo caso la Corte europea ha condannato l’Inghilterra per non aver istituito una indagine indipendente ed efficace circa le ragioni di quelle morti, ragion per cui, secondo la Corte, l’Inghilterra ha violato il diritto alla vita, sancito nell’Articolo 2 della Convenzione europea dei diritti umani.
Perché queste due sentenze sono così importanti? Perché tradizionalmente la Corte è rifuggita dal dire che i militari e altri organi di Stato dei 47 Paesi membri del Consiglio di Europa sono tenuti ad osservare sempre i fondamentali imperativi della Convenzione europea, anche quando si trovano all’estero. In una sentenza famosa, quella nel caso Bankovic, del 2001, la Corte, respingendo l’azione di alcuni serbi contro i Paesi della Nato che avevano partecipato agli attacchi sul Kosovo e in Serbia nel 1999, aveva detto che la Convenzione europea “opera essenzialmente in un contesto regionale e più particolarmente nello spazio giuridico dei (47) Paesi contraenti, di cui la Repubblica serba non fa parte”. Con la conseguenza che i militari europei che si battono contro un Paese straniero o all’interno di quel Paese potevano tranquillamente dimenticarsi dei comandi giuridici posti da quella Convenzione a tutela della persona umana.
Queste due sentenze hanno per fortuna ribaltato quella concezione angusta del valore della Convenzione europea. Hanno giustamente statuito che la Convenzione e i suoi comandi hanno un potenziale universale, seguono tutti i militari e le forze dell’ordine dei 47 stati, dovunque si trovino, anche all’estero: li seguono come l’ombra segue il corpo. I nostri militari, poliziotti o altri organi statali non devono ritenere di essere liberi di calpestare i diritti umani solo perché si trovano in Iraq o in Afghanistan o in un Paese africano.
È evidente che queste due sentenze, pronunciate l’una all’unanimità , l’altra con 16 voti a favore e uno solo contro (del giudice della Moldavia), segnano una svolta nella lotta per i diritti umani. È un progresso straordinario, che conferma che la Corte europea sta gradualmente ampliando il suo meritorio impatto sui diritti umani di tutti coloro che “entrano in contatto” con gli organi statali dei 47 Paesi. Si badi bene, come confermano le due sentenze, a beneficiare della Convenzione non sono solo i cittadini degli Stati contraenti, ma anche cittadini di Stati terzi: cinesi, statunitensi, neozelandesi, nigeriani, cileni, peruviani, e via discorrendo, che si trovassero a soggiornare in uno dei Paesi contraenti o ad essere in qualche modo sottoposti alla loro autorità . Insomma, la Convenzione non protegge solo i cittadini degli Stati che hanno ratificato la Convenzione, ma tutti i “cittadini del mondo” contro arbitri e violazioni da parte di uno dei 47 Paesi. Un grande segno di civiltà , di cui noi europei possiamo essere fieri.
L’Inghilterra aveva osservato davanti alla Corte che esportare la Convenzione europea in Iraq sarebbe stato un atto di “imperialismo dei diritti umani”. Nella sua “opinione concorrente” annessa alla sentenza nel caso Al-Skeini il giudice maltese Bonello ha giustamente respinto quest’argomento, notando tra l’altro che, dopo aver “imposto il suo imperialismo militare ad uno Stato sovrano” con l’attacco all’Iraq del 2003 in violazione della Carta dell’Onu, l’Inghilterra non dovrebbe vergognarsi di dover rispettare i diritti umani in quel Paese. Una opinione che è difficile non condividere.


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