Bund, franco svizzero e oro gli italiani tornano ai beni rifugio contro crisi e rischio “patrimoniale”
MILANO – Altro che sole, sdraio e ombrellone. L’estate dei risparmiatori italiani, quest’anno, è all’insegna del brutto tempo fisso. Piovono ribassi in Borsa (-15% da inizio luglio). La bufera della speculazione ha messo alle corde i Btp che in un mese hanno bruciato il 10% del loro valore. E, come se non bastasse, le Cassandre vedono profilarsi all’orizzonte lo spettro di una patrimoniale per raddrizzare i conti pubblici.
«È ormai una settimana che il ritornello dei clienti è sempre lo stesso – racconta lo sportellista in una filiale Intesa Sanpaolo di zona Sempione, a Milano –. Quanto ho perso finora? Meglio vendere tutto o comprare? Non devo far sparire i miei soldi dal conto corrente per evitare un prelievo forzoso dallo Stato?». Dubbi legittimi. Senza, per ora, una risposta sicura. «Io non penso che l’Italia possa saltare – dice Angelo Drusiani, responsabile gestioni di Albertini Syz –. E in questo caso un momento difficile e volatile presenta opportunità interessanti. L’importante è sapere che ci si può scottare le dita. E valutare con attenzione la propria propensione al rischio».
La prima certezza, è il mantra di tutti i gestori, è che è inutile piangere sul latte versato. Liquidare i propri risparmi per nasconderli nel materasso è una scelta logica solo se si è certi di un crollo di tutta la finanza mondiale. Al momento però la tempesta è circoscritta all’area periferica dell’euro – Italia compresa – e per difendere il capitale esistono molte vie di mezzo (vedi schede in pagina). Quella maestra è il trasferimento dei proprio investimenti in titoli di stato solidi come il Bund tedesco (i rendimenti sono scesi all’1,7% netto) o nei classici beni rifugio da manuali d’economia: l’oro e il franco svizzero che, sarà un caso, sono saliti del 10 e del 15% dall’inizio di luglio.
Il problema però non è solo come guadagnare soldi ma come non perderli. L’incubo è la riedizione della patrimoniale. Una tassa sui beni di famiglia per salvare il paese dal crac. Possibile? In camera caritatis molti dicono di sì. Nella notte tra il 9 e il 10 luglio del ’92 il Governo Amato prelevò il 6 per mille dai conti correnti degli italiani e il 3 per mille dalle rendite catastali (rivalutate) dei loro immobili. I nostri cugini greci nel dubbio si sono adeguati: in meno di dodici mesi hanno ritirato 40 miliardi dai conti correnti in banca (il 20% del totale) facendoli sparire nel nulla. «Qualcosa del genere sta già succedendo anche da noi – ammette a condizione d’anonimato uno dei più esperti banchieri milanesi –. Da qualche mese è ripreso a ritmi vorticosi il flusso di denaro dall’Italia alla Svizzera». L’eventuale rimpatrio in fondo, come insegna l’ultimo scudo, costa una bazzecola: il 5%.
Difficile, dicono gli esperti, che ci si accanisca di nuovo sulla liquidità . Anche per evitare fughe dai depositi che rischierebbero di mettere ko il sistema bancario. Più facile che nel mirino finisca il mattone. Nei portafogli degli italiani c’erano a fine 2009 oltre 4.800 miliardi di immobili contro i 188 miliardi in depositi e 1.575 in azioni, fondi e bond. Denaro e titoli possono migrare oltrefrontiera. Gli immobili (lo dice il nome stesso) no. E in caso d’emergenza sarà il mattone, con ogni probabilità , a recitare il ruolo di salvatore della patria.
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