San Patrignano SpA

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CORIANO (RIMINI). C’è ancora la vecchia tigre, nel recinto accanto al piccolo cimitero dove è sepolto Vincenzo Muccioli. Nel piazzale, in questa domenica d’agosto, arrivano in auto nonni e nipotini che si aggrappano alle sbarre e gridano: «Tigre, tigre, vieni fuori». L’animale – era arrivato cucciolo più di vent’anni fa – sembra contento delle visite. Esce dalle piante di bambù e si sdraia al sole. La foto di Vincenzo Muccioli, sulla tomba, è più grande delle altre. Dietro di lui si intravedono infatti centinaia dei suoi ragazzi, saliti sulla «collina della salvezza» per tornare a vivere dopo gli anni dell’eroina. Alcuni di loro, purtroppo, sono qui nel cimitero.
Facce e sorrisi troppo giovani, uccisi da Aids e altre malattie quando la droga era un flagello. Il cimitero è incastonato nella comunità  di San Patrignano. Era quello del paese poi Sanpa si è ingrandita e lo ha fatto proprio. Si sentono voci e grida di ragazzi, oltre la rete del piazzale. Alcuni corrono, fanno footing. Altri si fermano nel prato a fare flessioni. Sembra una domenica normale e invece è la prima di una nuova era: quella di una San Patrignano senza i Muccioli.
Come sempre, quando arriva la bufera, la comunità  si chiude. «No, oggi non si fanno visite. No, non abbiamo nessun commento da fare. È tutto scritto nel comunicato». Poche righe per dire che Andrea Muccioli, il figlio maggiore di Vincenzo, lascia la comunità  dopo 16 anni. Letizia e Gianmarco Moratti, che da 32 anni sostengono la comunità , continueranno il loro impegno. San Patrignano stessa, con i suoi operatori e volontari, deciderà  il proprio futuro…». Un futuro senza Vincenzo e Andrea, senza il fratello minore Giacomo che se n’è andato quattro anni fa perché «nella comunità  ci sono state cose che mi hanno fatto soffrire». Senza Antonietta Muccioli, la moglie del fondatore, che vive ancora in una villetta della collina ma non riesce più a dirigere la grande cucina che sforna 1500 pasti per il pranzo e per la cena.
Parlano di Inter e Milan, i quattro ragazzi della vigilanza alle sbarre dell’ingresso. Diventano muti appena un estraneo si avvicina. Ma la discussione c’è, oltre le sbarre. Una discussione che era iniziata già  nell’estate di sedici fa, quando Vincenzo Muccioli si spense dopo una lunga agonia. «Non siamo una monarchia», raccontavano a voce bassa quelli che erano chiamati i «colonnelli», ragazzi usciti con forza dalla droga e in grado di dirigere i pezzi più importanti della comunità . «Non è che, morto il re, il figlio debba salire al trono», dicevano quando arrivavano le prime voci su Andrea al posto del padre. «Vincenzo ci ha dato piena fiducia, dobbiamo dimostrare la nostra capacità  di costruire il futuro». Andrea lo conoscevano poco, raccontavano che era un esperto di vini francesi. E invece, dopo il funerale con due vescovi e sedici sacerdoti, per un uomo che diceva di credere «in un bel piatto di tagliatelle e un buon bicchiere di sangiovese», il primogenito nemmeno trentenne prese il posto del padre. Alto come il padre, magro, pochissimi sorrisi. I «colonnelli» dissero che questa era la scelta giusta.
Adesso che bisogna «assumersi collettivamente le grandi responsabilità  portate avanti con dedizione e successo da Andrea Muccioli» tornano i ricordi dei giorni della successione. «San Patrignano – raccontano le voci che arrivano da dentro – non è la Saras (l’azienda petrolifera dei Moratti, ndr) e non ha bisogno di un consiglio d’amministrazione e di un Ad, un amministratore delegato. Se la comunità  ancora resiste, se è la più grande d’Europa, questo significa che dentro ci sono forze sane che sono riuscite a portare avanti l’insegnamento di Vincenzo: rinascere, crescere e assumersi le proprie responsabilità , per poter accogliere e reinserire tutti i ragazzi che ci vengono affidati».
Cento operatori con un passato nella droga («È per questo che siamo capaci di dare un aiuto, il problema lo conosciamo bene»), duecento dipendenti delle varie cooperative, altre decine di volontari, tutti dentro la fondazione con un bilancio di 30,10 milioni di euro. Ma quasi la metà , 14,7 milioni, arrivano dalle donazioni, e gran parte di queste hanno un nome e cognome preciso: Letizia e Gianmarco Moratti.
L’attaccamento del petroliere e dell’ex sindaco di Milano alla comunità  è stato davvero forte. Novembre 1980, Vincenzo Muccioli viene arrestato perché cinque ragazzi sono stati trovati in catene. «Sequestro di persona», l’accusa pesantissima. Arrivi in comunità  e trovi – nell’unica palazzina allora esistente – i 40 ragazzi di allora riuniti in mensa. A organizzare il tutto, cucina compresa, sono Letizia e Gianmarco Moratti. Vivono, come gli ospiti, in una roulotte dentro un capannone che era stato un allevamento di polli, per terra ci sono ancora le piume. Per anni arriveranno in comunità  ogni venerdì sera, con i figli. Aereo privato fino a Rimini poi la Bmw di Muccioli – pagata dai Moratti – li porta sulla collina. Sempre in quel novembre la polizia trova una cassaforte a muro, ordina di aprirla. Dentro ci sono duecento milioni in contanti. Sono soldi dei Moratti ma Muccioli fino all’ultimo nega. «I ragazzi lavorano davvero, non sono qui a infilare collanine come nelle altre comunità . Non ho detto loro nulla del denaro perché perderebbero l’autostima, sapendo che il loro lavoro non basta a mantenerli».
Anche sulle vere cause delle «dimissioni volontarie» di Andrea Muccioli dalla collina arrivano soltanto voci. C’è chi parla dello stress di un uomo che non è riuscito a unire in se stesso i ruoli di educatore e di manager, cosa che riusciva invece benissimo al padre, uomo con un carisma troppo pesante per un figlio con spalle più fragili. C’è chi parla di liti per investimenti sbagliati. Un fatto è certo: gli ospiti di Sanpa sono in leggera diminuzione o comunque stabili da anni (1.500 ragazzi nelle tre comunità  di Coriano, Trento e Botticella nel pesarese) e l’edilizia non si è mai fermata. Un simbolo di questo passo più lungo della gamba è proprio accanto alla comunità , a destra della stradina che porta al cimitero. C’è un cantiere che è stato aperto – ci sono le recinzioni, le baracche per i muratori, pezzi di gru – senza che i lavori siano mai iniziati. Non ci sono cartelli della concessione edilizia ma solo due grandi fotografie, ormai invecchiate, che mostrano un nuovo piccolo quartiere con 12 ville multifamiliari. «Servono agli operatori», dicono a Sanpa. Ma i lavori sono fermi: qualcuno ha deciso che l’investimento non era necessario.
Nonostante i toni diplomatici del comunicato, per Andrea Muccioli è arrivato il commissariamento. Come educatore, circola già  un nome, quello di Mario Azzoni, psicoterapeuta milanese, esperto di medicina alternativa, stimato da Letizia Moratti. Per la parte manageriale, per la prima volta dopo 33 anni, potrebbe arrivare – come temono gli ex colonnelli di 16 anni fa – un amministratore delegato per seguire un’azienda sempre più importante. «L’anno scorso abbiamo prodotto 350.000 bottiglie di vino, abbiamo una pizzeria dove bisogna prenotare quindici giorni prima. Da tutta Italia arrivano quelli di Slow Food per partecipare al nostri “Squisito”, un vero evento per il mondo gastronomico».
I cancelli chiusi di questa domenica ricordano gli altri momenti difficili. L’arresto del 1980 fu solo la prima tappa. Condannato in primo grado, Vincenzo Muccioli fu assolto in appello. Ma la botta più forte arrivò nel maggio 1989, quando il cadavere di Roberto Maranzano, ospite «fuggito» dalla comunità , fu trovato in una discarica vicino a Napoli, avvolto in una coperta di Sanpa. Vincenzo Muccioli fu accusato e condannato per favoreggiamento. Non reagì come nel primo processo, quando aveva trasformato l’aula in un palcoscenico. «I giovani muoiono nelle piazze dell’eroina e lo Stato non fa nulla. Io sono un uomo che non sta a guardare». Dopo l’omicidio Maranzano («Sì, io sapevo ma ho dovuto tacere per non distruggere la comunità ») sembrava avere perso ogni forza. «Cosa posso fare? Devo mettere i miei ragazzi sui pullman e portarli a casa dei giudici?». Una lunga malattia poi in una calda sera del settembre 1995 il silenzio improvviso di tutta San Patrignano annunciò la morte del fondatore. Erano tutti convinti – chi era diventato dirigente della comunità  e l’ultimo arrivato ancora in astinenza – che l’insegnamento di Vincenzo Muccioli sarebbe stato il cemento su cui costruire il futuro. Il futuro c’è stato e c’è ancora, perché al centralino continuano ad arrivare i messaggi di chi vuole portare un figlio, o se stesso, sulla collina. Ma i Muccioli – il primo dei quali riuscì a trasformare il capannone dei polli in un luogo di speranza per giovani disperati – da oggi sono un ricordo.


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