Minacce a Bertone, in Vaticano è caccia al corvo

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CITTà€ DEL VATICANO – Un valzer di lettere scuote il Vaticano. Rigorosamente anonime, insolitamente particolareggiate, capaci di arrivare fino ai piani più alti della Chiesa. Alcune, addirittura, sono indirizzate all’Appartamento papale. Una pratica biasimevole, sussurrano nelle Segrete stanze. Eppure quasi quotidiana. E, soprattutto, autoprodotta. Cioè opera di sacerdoti. L’ultima che è pubblicamente emersa è stata recapitata al braccio destro del Pontefice, il Segretario di Stato, Tarcisio Bertone. Ne dà  conto il settimanale Panorama. La missiva contiene minacce di morte e pesanti critiche al suo operato. Lo scritto si apre con una minacciosa citazione di don Giovanni Bosco, fondatore dei salesiani, lo stesso Ordine di appartenenza di Bertone: “Grandi funerali a corte!”. E nella lettera l’anonimo prosegue accusando Bertone di scegliere i collaboratori solo sulla base di simpatie personali. Concludendo con la decisione del cardinale di “defenestrare” il segretario generale del Governatorato vaticano, monsignor Carlo Maria Viganò.
In Vaticano c’è più irritazione che preoccupazione per l’episodio. Bertone ha mostrato il messaggio alla Gendarmeria vaticana, recapitandolo nelle mani accorte del comandante Domenico Giani. E la sicurezza si è subito attivata aprendo la caccia al “corvo” tra le mura dei Sacri palazzi. L’incipit dello scritto, che richiamava la profezia di don Bosco, non ha potuto non sorprendere il salesiano Bertone. Nel dicembre 1854, infatti, mentre era in discussione la legge proposta per sopprimere gli ordini religiosi, il giovane sacerdote torinese don Giovanni Bosco fece arrivare al re Vittorio Emanuele II la trascrizione di antichi documenti ritrovati a Hautecombe, nella culla di Casa Savoia. In quei testi gli antichi conti della dinastia sabauda maledicevano i loro discendenti che avessero agito contro la Chiesa. Il santo prete raccontò ancora al sovrano un incubo: «Ho sognato un bambino che mi affidava un messaggio per voi: un funerale a corte!». Di fronte allo scetticismo del re don Bosco narrò poi di un suo secondo sogno: «Lo stesso bambino ora non annunzia un gran funerale, ma grandi funerali a corte!». Il santo prete raccomandò a Vittorio Emaneuele di pensare «a regolarsi in modo da schivare i minacciati castighi», e lo pregava «di impedire a qualunque costo quella legge». I Savoia però reagirono, inviando il marchese Frassati a fare una sfuriata a quello che consideravano un menagramo. Il 5 gennaio 1855, mentre il disegno di legge veniva discusso, si ammalò e morì la regina madre Maria Teresa. Il sovrano ricevette una nuova lettera da don Bosco: «Persona illuminata “ab alto” ha detto: “Apri l’occhio: è già  morto uno”. Se la legge passa, accadranno gravi disgrazie nella tua famiglia». Trascorsero quattro giorni e morì la moglie del re, a 33 anni. L’11 febbraio fu la volta del fratello Ferdinando, duca di Genova. La Camera approvò la legge il 2 marzo, che passò in Senato a maggio. Il 17 scomparve l’ultimogenito del sovrano, Vittorio Emanuele Leopoldo. Don Bosco espresse tutto il suo dolore per quelle morti, ma profferì un’ultima previsione sui Savoia: «La famiglia di chi ruba a Dio non giunge alla quarta generazione». E in effetti i re d’Italia saranno alla fine soltanto tre.
Di lettere anonime risultano piene le stanze del Vaticano, all’indirizzo di cardinali e vescovi. Molte ne sono circolate lo scorso anno per le accuse di pedofilia nella Chiesa. E due anni fa, durante il caso Boffo, il direttore di Avvenire costretto a dimettersi dopo una campagna scandalistica contro di lui, diversi scritti partirono da fuori verso la Santa Sede. La lettera contro Bertone citava il caso di monsignor Viganò. È però ormai certa e prossima la sua nomina a nunzio apostolico negli Stati Uniti. Un posto, si rileva, che appare tutt’altro che una defenestrazione. Ma quello delle lettere anonime, spiega una fonte interna alle Sacre mura, «è uno sport diffuso e molto praticato nelle Corti chiuse».


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