Cina, il libretto verde

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Pechino. La Cina è pronta per diventare il “motore verde” del secolo. Il 2011 resterà  nella storia del mondo come l’anno in cui la nuova potenza globale ha scelto la strada dell’ambiente. Il primo inquinatore del pianeta, la nazione più avvelenata e quella che consuma più energia, avvìa la più impressionante “svolta verde” mai tentata da un Paese industrializzato. L’obiettivo è titanico, ma può consegnare a Pechino la leadership sostanziale del progresso: diventare il faro scientifico ed economico della crescita compatibile con la vita. La data di annuncio della grande trasformazione cinese, destinata a sconvolgere i sistemi produttivi ed energetici mondiali, è fissata per metà  dicembre. Quel giorno il governo varerà  il dodicesimo piano quinquennale sulla tutela ambientale e la Cina degli ultimi trent’anni, fondata sullo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali, andrà  definitivamente in archivio.
Le misure della grande svolta, che supererà  con un balzo auspici e disattesi impegni internazionali dell’ultimo decennio, restano coperte dal segreto. Fonti del ministero della protezione ambientale anticipano però alcuni dei provvedimenti più importanti, che saranno presentati a fine novembre a Durban nel corso della Conferenza Onu sui cambiamenti climatici.
Pechino, che in vista del Sudafrica ha pubblicato ieri il suo libro bianco sul clima, annuncerà  lo stanziamento record di un miliardo di euro per migliorare l’efficienza energetica entro il 2015. Le centrali elettriche a carbone, che coprono l’80% del fabbisogno nazionale, nel prossimo ventennio andranno per sempre in pensione. L’approccio pubblico sarà  di mercato: chi taglierà  prima le emissioni inquinanti si vedrà  riconosciuto un prezzo più alto per l’energia, sgravi fiscali e un numero maggiore di clienti. Un principio semplice: meno inquini, più guadagni.
Alla ristrutturazione energetica corrisponderà  una rivoluzione edilizia. La più massiccia urbanizzazione della storia produce oggi in Cina due miliardi di metri quadri all’anno di nuove costruzioni. Oltre il 95% dei palazzi sono ad alto sperpero energetico. Investendo 500 miliardi di euro, Pechino punta a trasformare radicalmente il settore, eleggendolo a punta avanzata della ricerca nel campo del risparmio energetico e ambientale. La rivoluzione verde che sta per investire industria, energia e costruzioni, sarà  completata da stanziamenti senza precedenti per il recupero dell’ambiente distrutto e per la creazione del più grande sistema al mondo di trasporti a impatto zero. La Cina si appresta ad annunciare altri mille miliardi in cinque anni per la nascita di metropoli asiatiche di nuova generazione: mezzi pubblici a impatto zero, strade e palazzi ideati come centrali termiche, alimentate da risorse rinnovabili e naturali.
Pur senza sottoscrivere impegni internazionali vincolanti, le autorità  cinesi confermeranno l’impegno a ridurre le emissioni di carbonio del 40-45% entro il 2020. Investimenti colossali saranno così riservati alla riforestazione e alla tutela dell’area maggiormente sconvolta dal cambiamento climatico: l’Himalaya. In dieci anni, per rallentare la desertificazione, saranno impiantati 40 milioni di ettari di boschi e sull’altopiano tra Tibet e Qinghai verrà  istituita la più vasta riserva naturale dell’Asia: tutta oltre quota 4 mila, avrà  la missione di salvare i tre più importanti fiumi del continente e di evitare che lo scioglimento dei ghiacciai porti ad un innalzamento dell’oceano Pacifico tale da sommergere 80 mila chilometri quadrati delle coste orientali della nazione.
È una disperata corsa contro il tempo. Raggiungere il primato mondiale della crescita e della ricchezza ha trasformato la Cina in una bomba ecologica ad orologeria. La qualità  dell’aria, secondo l’Oms, è ad alto rischio per la salute. Fiumi e laghi sono discariche tossiche, ormai prive di vita. Intere regioni sono ridotte a contenitori di scorie pericolose e non smaltibili. Una situazione drammatica, tale da spingere il presidente Hu Jintao a rivolgere un appello alla comunità  internazionale. «La Cina darà  priorità  assoluta all’economia verde – ha detto al vertice Apec di Honolulu – ed è decisa ad attirare gli investimenti stranieri. La nuova industria cinese dell’ambiente produrrà  350 miliardi di euro entro il 2015 e rappresenta la più importante opportunità  di profitto per le multinazionali di tutto il mondo. A patto di scongiurare nuove barriere al commercio verde».
Prima del 28 novembre sarà  inaugurato a Pechino il Centro per la cooperazione e la ricerca strategica sui cambiamenti climatici. Potrebbe essere scambiato per l’ennesimo think tank mangia-soldi. Impegnerà  invece per la prima volta i migliori scienziati, ricercatori e analisti economici asiatici su un unico obbiettivo: trasformare l’emergenza-ambiente nella spinta definitiva alla ristrutturazione economica cinese e nel più grande affare globale del secolo. Il vice premier Li Keqiang, davanti a mille tra i più importanti businessman internazionali, lo ha riassunto così: «La nostra scelta è assunta: affidare all’innovazione, alla ricerca e al miglioramento della qualità  della vita, l’espansione della domanda interna e dunque la stabilità  della crescita. Diminuiremo del 16% il consumo di energia per unità  di Pil e aumenteremo del 4% il valore aggiunto del terziario».
Disinnescare la bomba ecologica del pianeta per renderla il cavaliere verde del mondo sortirà  conseguenze enormi. I funzionari cinesi calcolano che nel breve termine il Paese perderà  quasi 1 milione di posti di lavoro, 10 miliardi di produzione e 15 miliardi di esportazioni. In cambio risparmierà  150 miliardi di costi energetici, mentre l’eco-industria frutterà  810 miliardi di euro e 11 milioni di posti di lavoro in due anni. «Scongiureremo però – spiega il viceministro per l’ambiente Li Ganjie – la definitiva compromissione di territorio e atmosfera entro il 2020 e una crisi idrica che può paralizzare l’economia. E dopo i primi cinque anni, l’economia verde sarà  la prima voce del reddito nazionale».
La Cina è già  il primo produttore mondiale di pannelli solari e fotovoltaici, di energia eolica e di centrali a biomassa. Nel 2009 ha investito 35 miliardi di euro in energia pulita, contro i 51 degli Usa, ma nel 2010 ha consumato il sorpasso: 58 miliardi contro 49. Entro il 2050 potrebbe raggiungere i mille gigawatt di potenza eolica, pari al 17% dell’energia autoprodotta, per 750 mila nuovi posti di lavoro. All’orizzonte si profila però lo scontro epocale con gli Stati Uniti per il controllo dell’industria e del commercio più contesi del futuro. Washington accusa Pechino di dumping-verde, ossia di invadere il mondo con pannelli solari e fotovoltaici a prezzi ribassati fino al 250% grazie alle sovvenzioni di Stato. La Cina risponde che è la sola via per assorbire i dazi Usa e avverte che una riesplosione di protezionismo e blocco delle tecnologie può condannare il pianeta alla catastrofe.
L’esito della storica svolta-verde della Cina resta un’incognita. Il fatto che stia per iniziare è però una certezza. Non solo perché economia e natura non hanno alternative. La molla principale resta politica. La popolazione cinese, a un passo dal benessere, non accetta più di essere decimata dall’inquinamento. L’80% degli abitanti si dichiara «insoddisfatta» dalla qualità  dell’ambiente e mette sotto accusa imprenditori e funzionari di partito, imputati di aver creato canali riservati per cibo biologico, acqua pura e aria filtrata da depuratori speciali. Le sommosse ecologiche, per la prima volta, dilagano nel Paese, minacciano la stabilità  e allarmano una leadership impegnata in un difficile passaggio generazionale del potere. Pechino punta sul verde per cambiare sistema economico, rilanciare la crescita globale e ricostruire la natura che ha distrutto: si muove però, prima di tutto, per salvare il proprio potere autoritario.


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