«Occupare resistere e produrre»

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Fabio Resino, delegato Facta – Federazione nazionale delle fabbriche autogestite argentine, ci illustra il fenomeno che nel paese si è diffuso con successo in seguito alla crisi del 2001.
Le fabbriche autogestite nascono nel contesto economico di una crisi strutturale del neo-liberismo. Che Argentina era quella del 2001?
L’ Argentina era un paese devastato. L’industria si era dissolta, il popolo era sommerso in una povertà  mai conosciuta dalla storia di questo paese. La classe operaia che aveva avuto un tasso di disocupazione del 5% o 6%, a fine anni Novanta era arrivata a livelli del 23%. Una persona su due viveva sotto la soglia di povertà . Il debito schiacciava lo Stato e le istituzioni politiche non godevano di alcuna fiducia popolare. Per questo, il 20 dicembre 2001 non si è scesi in piazza per un cambiamento ma perchè se ne andassero via tutti, «que se vayan todos».
Che cosa significava per un lavoratore operare in una fabbrica autogestita?
La fabbrica e le macchine al loro interno in questo contesto erano l’unica possibilità  per lavorare e guadagnare il minimo indispensabile per la famiglia. Più tardi a impresa recuperata alcuni compagni compresero l’importanza simbolica e ideologica dell’azione intrapresa: mettersi sulle spalle i mezzi di produzione e far funzionare le fabbriche senza il padrone. Questo è il fatto più sovversivo, ma non tutti però sono arrivati a questa profondità  di visione.
I principi base sono «occupare, resistere e produrre». Quali le difficoltà ?
Tutto dipende dalla congiuntura politica del momento. Occupare e resistere nel 2001 significava andare incontro ad uno Stato repressivo. Ora è diverso. Di certo c’era un grosso imbarazzo nel violare il rispetto dalla proprietà  privata, concetto impresso nelle classi subalterne dal sistema capitalista già  a partire dalle scuole elementari. Sicuramente la fase della produzione è la più complicata: senza capitali, servizi essenziali come la corrente elettrica e le conoscenze manageriali è dura far ripartire da zero l’attivitività  imprenditoriale. Solo grazie alla solidarietà  e alla cooperazione collettiva puoi superare questi ostacoli.
Una fabbrica autogestita può essere intesa anche come una battaglia a tutela della propria dignità  di lavoratore?
Indubbiamente lo è. Ma la otterremo quando il lavoro autogestito verrà  riconosciuto alla pari con un lavoro tradizionale (pensioni, norme di sicurezza, etc.). Per questo molte Ert si stanno organizzando in federazioni e confederazioni, come la Cnct per il lavoro cooperativo appena fondata. 
Considera le Ert un modello esportabile anche in Europa?
L’Italia è stata pionera nelle autogestioni. Ora in Argentina abbiamo intrapreso un cammino fondamentale per la difesa della forza-lavoro, dando vita ad un modello valido affinchè la crisi venga pagata da chi la genera e non dal popolo.


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