“Il cambiamento è iniziato” Obama lancia il nuovo slogan

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new york. «Il cambiamento è…». Per cominciare, è un calo nel tasso di disoccupazione come non si vedeva da due anni e mezzo: e di colpo l’armata elettorale di Barack Obama torna a sperare.
Se l’economia americana conferma il suo miglioramento da qui al novembre 2012 la rielezione non è impossibile; guarda caso, ieri Obama si è esibito in un comizio davanti a un cantiere edile a Washington, affiancato da un certo Bill Clinton. Cioè l’ultimo presidente democratico, che centrò il secondo mandato grazie agli errori della destra (troppo intransigente sui tagli di spesa) e a una ripresa dell’occupazione che oggi farebbe sognare. La sfida è molto più dura che ai tempi di Clinton, ma Obama non dispera. Sta ritrovando la grinta che lo rese celebre nel 2008, quando proprio contro la “macchina da guerra” del clan familiare Bill-Hillary lui conquistò a sorpresa il partito democratico e poi la Casa Bianca. Oggi i registi di quella vittoria sono gli stessi – David Axelrod e David Plouffe – ma lo slogan è cambiato. Uno slittamento di sfumature, quasi impercettibile, inaugurato il 14 novembre alle Hawaii cioè proprio il suo Stato natale. È quel giorno che per ben 10 volte Obama inizia una frase con: «Change is…». Il cambiamento è? «È la riforma sanitaria che ha esteso l’assistenza a decine di milioni, dopo un secolo di riforme fallite. È il salvataggio riuscito dell’industria automobilistica, che la destra voleva lasciar fallire. È la riforma delle regole sullo smog delle automobili, ferme da 30 anni».
Da allora quello è diventato l’esordio preferito nei suoi discorsi. E ieri finalmente lo Huffington Post lo ha consacrato come “il nuovo Obama”, un’immagine racchiusa in uno slogan, la sintesi di una tattica per la rimonta nei sondaggi. Il cambiamento è: qualcosa di concreto. Leggi approvate. Investimenti fatti. Cantieri aperti come quello inaugurato a Washington con Clinton, che segna l’inizio di una ristrutturazione di tutti gli edifici pubblici per risparmiare energia, 4 miliardi di fondi pubblici per attirarne molti più dai privati e creare 50.000 posti di lavoro. “Change is…” è un attacco sottilmente diverso rispetto ai celebri slogan del 2008. Allora Obama era “Yes we can” e tutto sembrava davvero possibile nell’onda di entusiasmo che trascinò al voto giovani, minoranze etniche, elettrizzati dal primo candidato nero. Era anche “Change we can believe in”, il cambiamento nel quale possiamo credere: ma quest’ultimo suona sfuocato (e decisamente inopportuno “l’audacia della speranza”), perché dalla sinistra del partito democratico la critica verso questo presidente è di avere realizzato troppo poche delle sue promesse in questi tre anni.
Obama sa che un’elezione, quando si ripresenta il presidente in carica per un secondo mandato, è sempre un referendum su di lui, sul suo operato. Perciò basta con la retorica utopistica del 2008, bisogna dimostrare che la fiducia di allora non era mal riposta. Ma come Clinton alla seconda elezione nel 1996, anche Obama sa che la fortuna è fatta di tante cose. Per esempio un avversario che si affonda da solo. Finora tutti i repubblicani che hanno ottenuto il primato nei sondaggi sono scomparsi in poche settimane. Domani tocca probabilmente a Herman Cain, l’ex chief executive di Godfather Pizza, annunciare il suo ritiro: troppi sms sul cellulare della sua amante, una relazione durata 13 anni, mentre lui continuava a molestarne altre; e a negare tutto fino a un “summit” di ieri: con la moglie.


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