Il salvataggio dell’impero Ligresti può azzoppare Mediobanca e Unicredit

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MILANO – Mediobanca e Unicredit stanno spingendo a più non posso per trovare una soluzione credibile alla bolla Ligresti che ormai è scoppiata. Ma si stanno muovendo sul filo di lana, sotto gli occhi attenti dell’Antitrust e il rischio concreto di subire esse stesse delle perdite importanti. La banca di piazza Cordusio, infatti, è esposta per circa 550 milioni verso la galassia di società  dell’impero Ligresti che vanno da Premafin fino a Sinergia e Imco, a monte. Non più tardi di sei mesi fa, inoltre, Unicredit ha comprato diritti dell’aumento di capitale Fonsai dallo stesso Ligresti a prezzi d’affezione, investendo altri 160 milioni per diventare socio al 7%. A cui si è aggiunta l’erogazione di nuova liquidità  per 20 milioni a Sinergia per non fallire. Scelte che ora si sono rivelate disastrose e che mettono sul banco degli imputati il management della banca rappresentato da Federico Ghizzoni, Roberto Nicastro e Paolo Fiorentino, spalleggiati nella scelta dal vicepresidente Fabrizio Palenzona. Chiunque entrasse in Premafin, infatti, sia il fondo Clessidra o altri, chiederebbe una due diligence e la disponibilità  a ristrutturare quei 300 milioni di debiti che incombono sulla società . E Unicredit potrebbe essere costretta a convertire il debito in azioni con conseguenze importanti sul conto economico proprio alla vigilia del proprio aumento di capitale da 7,5 miliardi. Insomma il credito facile a Ligresti degli anni passati rischia di mietere vittime sul suo cammino. Lo si deduce anche dal nervosismo riscontrato da chi viene in contatto con Mediobanca in questi giorni. Nonostante piazzetta Cuccia sia il primo azionista di Generali con l’ad Alberto Nagel seduto sulla poltrona di vicepresidente, ritiene di dover dirigere il traffico anche su Fonsai in palese conflitto di interessi. Attraverso l’alleanza con Unicredit ha posto veti sui possibili ingressi in Premafin selezionati da Gerardo Braggiotti e ha posto un aut aut allo stesso Ligresti riguardo la scelta degli advisor. La preoccupazione deriva dal fatto che Mediobanca è esposta verso Fonsai con prestiti subordinati per 1,05 miliardi che in caso di erosione del capitale possono convertirsi in azioni a prezzi predefiniti. E se ciò dovesse accadere l’impatto sul bilancio Mediobanca sarebbe molto importante, andando a erodere gli utili annuali e forse anche più. Per questo motivo si cerca disperatamente qualcuno disposto a versare soldi in Premafin e per quella via ricapitalizzare Fonsai. Ma la disponibilità  di massima di Clessidra non equivale a un assegno già  staccato: se Claudio Sposito volesse procedere a una vera due diligence dei conti della holding le sorprese potrebbero essere infinite. E anche la ventilata integrazione a valle tra Fonsai e Unipol, con la quale Mediobanca è esposta per altri 400 milioni, non sembra essere così facile come qualcuno vorrebbe far credere. Unipol non ha ancora risolto del tutto il problema della banca di casa che vantava sofferenze per un miliardo su 10 di prestiti. Inoltre il direttore generale Carlo Cimbri non sembra gradire l’arrivo tra gli azionsiti di un private equity e le Cooperative azioniste attraverso Finsoe dovrebbero scegliere tra la diluizione sotto la maggioranza o l’erogazione di nuove risorse finanziarie.


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