La morte del primo giornalista occidentale

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Aveva vinto lo scorso anno il «Premio Ilaria Alpi» Gilles Jacquier, il giornalista di France 2 ucciso ieri a Homs in circostanze ancora da chiarire. Primo cronista occidentale a morire in Siria dall’inizio delle proteste dieci mesi fa, Jacquier, 43 anni, era giunto in Siria qualche giorno fa, su invito delle autorità  di Damasco.
Più parti hanno condannato l’accaduto. Usa e Onu «deplorano». Il ministro degli esteri francese Alain Juppè ha chiesto che venga fatta piena luce sulla morte di Jacquier, ucciso assieme a sette civili da colpi di mortaio, o forse da un razzo «Rpg», sparati contro un edificio e che hanno ferito un altro reporter, Steven Wassenaar (olandese) e 24 persone. Juppé ha puntato l’indice contro il regime ma i primi indizi portano alla direzione opposta, ossia ai disertori del cosiddetto «Esercito siriano libero» che da qualche settimana affrontano in modo aperto le forze armate lealiste. 
A quanto si è saputo il giornalista di France 2 è stato colpito mentre stava visitando Akrama e Al-Nouzha, due quartieri di Homs fedeli a Bashar Assad, dove si stava svolgendo una manifestazione a sostegno del presidente siriano. Un testimone, citato dalla agenzia britannica Reuters, ha detto che ad uccidere Jacquier è stato un razzo «Rpg» sparato durante il corteo pro-Assad. Più completo il resoconto fatto da un fotografo dell’agenzia Afp che ha parlato di tre colpi. «Una granata è caduta su un edificio, quando stavamo intervistando i manifestanti pro-Assad», ha detto il fotografo «allora siamo saliti sul tetto, ho visto un morto e ho iniziato a fotografarlo. Altri giornalisti invece sono scesi a vedere cosa accadeva (in strada). Quelli che sono andati fuori dall’edificio hanno ricevuto in pieno una granata. Scendendo, ho visto Gilles che giaceva in una pozza di sangue». La televisione di stato siriana poco dopo ha accusato un «gruppo terrorista» di aver sparato colpi contro «giornalisti stranieri impegnati in un incontro con cittadini vittime del terrorismo». Gli oppositori a Homs invece hanno attribuito tutte le responsabilità  al regime di Assad.
L’accaduto ha reso ancora più teso il quadro della situazione mentre avanza tra molte difficoltà  la missione degli osservatori inviati dalla Lega araba e arrivato in Siria il 26 dicembre. Il team è soggetto a forti pressioni, da parte delle autorità  e delle opposizioni. A sorpresa un osservatore algerino Anwar Malek ha sospeso il suo incarico e ha subito lasciato la Siria. Ma non ha raggiunto la sede della Lega araba al Cairo per presentare il suo rapporto. Malek invece è andato a Doha ed è apparso negli studi della tv al Jazeera dove ha accusato le autorità  siriane di aver deviato appositamente il loro convoglio, due giorni fa, lungo la strada Homs-Damasco, per esporlo a un attacco armato ma non ha fornito elementi concreti a sostegno di questa tesi. «Durante la missione mi sono sentito come se difendessi il regime» ha affermato Malek «ho capito che non appartenevo a nessuna missione indipendente di monitoraggio della situazione, che stavo dando al regime ulteriore tempo per uccidere e che non avevo possibilità  di fermare le uccisioni».
Frasi simili a quelle che da giorni pronunciano i rappresentanti dell’opposizione siriana che auspicano la fine (o il fallimento) della missione dei monitors della Lega araba per portare la Siria sul tavolo del Consiglio di sicurezza dell’Onu ed ottenere un voto a favore di un intervento militare internazionale contro Bashar Assad, simile a quello contro Muammar Ghaddafi in Libia. «C’è ora bisogno di un chiaro e deciso intervento del Consiglio di sicurezza Onu», ha detto ieri a Berlino Steffen Seibert, portavoce della cancelliera Angela Merkel.
Nel conflitto mediatico in corso, parallelo a quello armato nelle strade, il regime continua a fare la sua parte. Ieri Bashar Assad è apparso in pubblico a Damasco per rassicurare i suoi sostenitori. «State tranquilli. Siamo alla fase finale e la Siria sconfiggerà  il complotto», ha detto in diretta davanti alle telecamere della televisione di stato. Ma sul terreno lo spargimento di sangue continua e le opposizioni denunciano che la repressione attuata dalle forze di sicurezza avrebbe fatto oltre 400 morti da quando è cominciata la missione degli osservatori della Lega araba.


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