Un referendum inammissibile
Spetta al parlamento e alle forze politiche modificare una legge che non ha nessuna legittimazione e che contrasta con ogni possibile concezione di democrazia rappresentativa. Sarebbe un crimine nei confronti della democrazia non riuscire a cambiare, ma rappresenterebbe anche un atto di eutanasia. Ai partiti politici, infatti, è data forse un’ultima possibilità per dimostrare di essere in grado di svolgere il proprio specifico ruolo costituzionale di strumento dei cittadini per determinare la politica nazionale. Questo compito comporta una capacità di stabilire le regole della convivenza; in primo luogo, dunque, le regole che si pongono alla base della rappresentanza politica e parlamentare. Oggi non c’è più nessuno che – almeno pubblicamente – non sia convinto della necessità di cambiare il sistema elettorale vigente: l’opinione pubblica nella sua interezza, gli organi costituzionali (tanto la Corte costituzionale quanto il presidente della Repubblica hanno denunciato la necessità di mutamento), gli stessi esponenti politici di tutti i partiti. Non si trova nessuno che difenda l’attuale sistema. Se, in questa situazione, i partiti politici non fossero in grado di approvare per via parlamentare una nuova legge elettorale dichiarerebbero la loro – forse definitiva – impotenza e sostanziale inutilità . Facciamo dunque un appello ai partiti: salvate voi stessi e assieme a voi salvate la democrazia rappresentativa.
La domanda che si pone è se sia sufficiente una modifica purchessia per dimostrare la permanenza in vita dei partiti. Ci si chiede se, a questo punto della nostra storia, sia possibile dare una qualunque risposta alla richiesta di cambiamento del sistema elettorale. Se, insomma, i partiti siano liberi di ricercare un compromesso che soddisfi le loro specifiche esigenze e gli immediati calcoli politici di ciascuno. La risposta dovrebbe essere decisamente negativa, sia per ragioni di senso comune, sia per ragioni più profonde e di sostanza. Secondo un detto popolare «non c’è mai fine al peggio»: dunque se l’attuale sistema elettorale è il peggiore tra quelli sin qui adottati, domani chissà . E, nel nostro caso, l’eventuale approvazione di una legge favorevole a (tutti?) i partiti, ma lontana dalle aspettative di rappresentanza effettiva di una popolazione sempre più scettica e distante dal Palazzo potrebbe avere un effetto devastante. Non segnerebbe un recupero di credibilità delle forze politiche e delle istituzioni rappresentative, ma renderebbe inarrestabile la già pericolosa deriva populista e antistituzionale. Dunque, ben più rilevante e impegnativa è la sfida che si pone ai partiti politici oggi, dopo la pronuncia della Corte. Sapranno essi riflettere sulle cause della degenerazione del sistema di democrazia rappresentativa, di cui la legge «Porcellum» è l’ultima espressione, ma certamente non l’unica? C’è un filo rosso che lega l’attuale legge elettorale a quella precedente, e collega altresì la profonda crisi di tutte le nostre istituzioni rappresentative (fatta salva la presidenza della Repubblica). Questo filo rosso sta soffocando il Paese e la democrazia, un filo che si è cominciato a tessere nel 1993 quando si è pensato si potessero, in nome della governabilità , sacrificare le ragioni della rappresentanza. Oggi vediamo che se la governabilità è necessaria essa non può alimentarsi che attraverso un’effettiva capacità dei partiti politici di dare risposta agli interessi sociali, riuscendo a «rappresentare» politicamente il corpo elettorale reale, e non solo la sua immagine patinata o distorta.
È quel filo che i partiti devono riuscire a tagliare prima di trovarsi imprigionati. Il tempo rimasto è poco.
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