Finmeccanica, il crocevia di affari e poteri

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Le inchieste della magistratura napoletana e barese stanno minando la reputazione di Finmeccanica. Paolo Pozzessere dà  le dimissioni da direttore commerciale, ruolo delicatissimo, a seguito delle ipotesi di corruzione internazionale nell’acquisizione di commesse militari in America Latina con l’ausilio dello strano giornalista Valter Lavitola, intimo del premier. L’ex ufficiale della Finanza, Marco Milanese, consigliere politico del ministro dell’Economia, è accusato di promettere cariche in società  del gruppo Finmeccanica dietro compensi di varia natura. Il responsabile delle relazioni istituzionali, Lorenzo Borgogni, va a cena con il faccendiere Gianpaolo Tarantini, notoriamente impegnato a far partecipare il suo mandante pugliese Enrico Intini alla gestione di 280 milioni di appalti della Protezione civile affidati alla Selex, società  del gruppo guidata da Marina Grossi, moglie del presidente Pier Francesco Guarguaglini. Non basta che questa specifica richiesta dello stranissimo mediatore non sia stata accolta, nonostante Silvio Berlusconi abbia per due volte invitato Guarguaglini a prestare attenzione al giovane amico che gli portava le donnine per le allegre serate di Palazzo Grazioli. Resta la promessa di un tavolo tecnico tra Finmeccanica e Tarantini: un tavolo tecnico…
Come altre società  quotate, Finmeccanica ha un servizio di internal audit e un comitato per il controllo interno del consiglio di amministrazione. È il momento di usarli in modo convincente, altrimenti dovremo credere, come purtroppo è già  accaduto in Telecom Italia, che questi organismi della corporate governance siano, al dunque, soltanto fumo negli occhi. Finmeccanica è controllata dal Tesoro al 32%. Il resto del capitale è in Borsa. I mercati finanziari, ai quali la società  ha chiesto di sottoscrivere obbligazioni e aumenti di capitale cospicui, hanno diritto di sapere, ancorché finora abbiano reagito più alle indiscrezioni sul futuro dell’Ansaldo, croce e delizia del gruppo Finmeccanica, che alle notizie giudiziarie. Più ancora dei mercati ha diritto di sapere il Paese, per il quale Finmeccanica rappresenta una doppia ricchezza: è una delle due principali multinazionali manifatturiere (l’altra è Fiat) ancora capaci di spese importanti in ricerca e sviluppo; è una delle due multinazionali (l’altra è l’Eni) con cui il governo può fare politica estera. Ma più di tutti sono i 76 mila dipendenti e dirigenti per bene (esistono e sono tanti) ad aver diritto di sapere quali siano oggi i veri rapporti del vertice aziendale con l’azionista pubblico, macchiato nella componente lettiana e in quella tremontiana dalle imprese dei luogotenenti Luigi Bisignani e Milanese e addirittura ridicolizzato dal premier che alimenta la sua attività  sessuale facendosi mallevadore di affari privati con i soldi degli altri, dove gli altri sono i contribuenti e i soci di minoranza, i primi azionisti di Finmeccanica per mezzo del Tesoro e i secondi in proprio.
La questione morale di Finmeccanica è tanto più seria in quanto la crisi fa venire al pettine i nodi gestionali lasciati irrisolti durante gli anni delle vacche grasse. Lo dimostra il titolo che quota 4 volte meno rispetto ai massimi del 2007, mentre le concorrenti Bae System e Thales sono sopra la metà  e Eads perde solo il 20%. Finmeccanica sconta il rischio Italia, ma anche l’attesa di un calo degli utili, inevitabile con la ristrutturazione e le svalutazioni da fare. Il nuovo amministratore delegato, Giuseppe Orsi, può contare su una posizione finanziaria ancora solida (5 miliardi di debiti finanziari, 2 di liquidità , 2,5 di linee di credito non utilizzate e i primi rimborsi a dicembre 2013), ma i margini operativi si assottigliano e il portafoglio ordini, per quanto sia al momento ancora buono (49 miliardi contro un fatturato di 18), non promette bene nei tre mercati principali, Italia, Regno Unito e Usa, a causa dei tagli alla spesa pubblica.
Finmeccanica dovrà  fatalmente concentrarsi nei settori d’elezione: aeronautica, elicotteristica ed elettronica per la difesa. Orsi ha fatto capire che Ansaldo Breda (l’osso) e Ansaldo Sts (la polpa) verranno cedute in combinata. Tra gli acquirenti possibili, si sarebbe segnalata General Electric, che in Italia già  fece un affare rilevando dall’Eni il Nuovo Pignone nei primi anni Novanta, ma non è esclusa la discesa in campo dei canadesi di Bombardier e dei francesi di Alstom che si muove di concerto con la Société Nationale de Chemin de Fer e in Italia è alleata della Ntv di Montezemolo. Vedremo se sarà  vendita secca o se Finmeccanica conserverà  una quota da piazzare poi, una volta che il nuovo socio di riferimento estero avrà  dato a queste aziende la spinta che oggi Finmeccanica non è in grado di dare né da sola né attraverso un accordo alla francese con le Fs.
Certo è che questo passaggio riapre la discussione sul destino stesso di Finmeccanica. Nel 2000, il governo D’Alema decise di ridurre la partecipazione pubblica, ma non di privatizzare del tutto Finmeccanica per evitare che fosse poi rivenduta pezzo per pezzo ai concorrenti europei, magari con grande profitto per gli speculatori, ma anche con grave nocumento per un sistema industriale come quello italiano povero di grandi imprese. Undici anni dopo è la questione morale a riproporre la questione strategica, e con essa la sottile tentazione di sciogliere i mediocri intrecci politico-affaristici di Palazzo Grazioli grazie al colpo di spada di una subitanea privatizzazione di Finmeccanica.
Sarebbe un errore. E non solo perché il prezzo sarebbe vile e perché già  la Parmalat è finita a Lactalis, Edison scivola irrimediabilmente verso Edf e la Fiat guarda sempre più a Detroit. La verità  è che la crisi economica e gli eventi bellici smontano i giudizi precostituiti e portano a galla la politica di potenza degli Stati e le malefatte di soggetti privatissimi anche più gravi di quelle del sottobosco politico nostrano. Basti pensare all’intervento anglofrancese in Libia e alla Casa Bianca che fa causa a Bank of America, Jp Morgan, Deutsche Bank, Goldman Sachs ed altre grandi banche per aver addirittura falsificato la documentazione dei mutui subprime, provocando il disastro epocale dal quale l’intero Occidente non riesce ancora a riemergere. Per Finmeccanica non ci sono scorciatoie, ma la dura fatica di affrontare e risolvere i problemi con le forze che esistono nella parte buona del suo management e del suo azionista.


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