Quel che resta di Gor’kij nella Russia contemporanea

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In una visita a Pietroburgo ho trascorso qualche ora curiosando tra gli scaffali ai diversi piani dello storico «Dom Knigi» (La Casa del Libro) sul Nevskij Prospekt al limitare del Canale Griboedov. Sono riuscito a stupire un’inserviente con una richiesta che a quella è parsa a dir poco curiosa. «Cosa avete di Maksim Gor’kij?». Nella grande sala dove le opere degli autori russi e stranieri sono suddivisi per settori avevo già  cercato, notando le lunghe schiere di edizioni dei nuovi scrittori russi, ma anche dei classici, da Puskin a Gogol’ a Dostoevskij… ma Gor’kij non l’avevo proprio trovato, pur aguzzando la vista e concentrando l’attenzione sui libri che seguivano la lunga schiera di opere di Gogol’. Sono tornato con l’inserviente a quegli scaffali e dopo una comune ricerca sono spuntati in seconda fila un volumetto delle Fiabe italiane e un’antologia di novelle del nostro Massimo l’Amaro. 
Devo dire che la cosa in definitiva non mi ha stupito. Certo Maksim Gor’kij viene pubblicato ancora oggi, ma le ferree regole del mercato (e dunque del gusto del pubblico) e della distribuzione fanno sì che nelle più grandi librerie di Mosca e Pietroburgo l’autore della Madre risulti alquanto emarginato. Lo ha notato di recente il noto scrittore e pubblicista Dmitrij Bykov che a Gor’kij ha dedicato una monografia dal titolo eloquente: È mai esistito Maksim Gor’kij?, titolo che gioca proprio sull’equivoco. Da un lato, l’esistenza di uno scrittore strettamente legato alla cultura ufficiale sovietica e al marchingegno ideologico-letterario del realismo socialista, alla macchina stessa del totalitarismo staliniano, uno scrittore le cui opere in edizione accademica vengono oggi rivendute per pochi rubli sulle bancarelle di libri usati, dall’altro, la biografia romanzesca, intarsiata di miti, eccessi e passioni, ma anche di lati oscuri, narrata direttamente dallo scrittore in tanti scritti autobiografici e documentata in una immensa messe di pubblicazioni sovietiche, sulla cui completezza e attendibilità  oggi non solo Bykov, ma molti lettori e studiosi s’interrogano. 
Non a caso nell’ampia fioritura delle biografie che caratterizza il mercato librario russo d’oggi (mi riferisco, ovviamente, in primis alla serie «La vita delle grandi personalità » che proprio Maksim Gor’kij rilanciò nel 1933…), troviamo una nuova biografia di Gor’kij (Mosca, 2005, più volte ripubblicata), proposta da Pavel Basinskij, scrittore e critico (è sua una corposa opera sull’ultimo anno di vita di Tolstoj), che è poi ritornato sul tema con un nuovo volumeLa passione secondo Maksim: 9 giorni dopo la morte (2011). Si tratta di due libri, sia detto per inciso, che la critica ha recepito in maniera molto variegata (basti pensare alle tante aporie presenti nella ricostruzione della biografia sentimentale dello scrittore e, al contrario, l’attenzione quasi totalizzante sul rapporto tra Gor’kij e la religione). 
Certo l’opera e la vita di Gor’kij sono costantemente al centro dell’attenzione degli studiosi, specie degli storici, che ne ripercorrono le varie fasi dalla formazione all’esilio, agli anni della rivoluzione, al secondo periodo italiano fino al rientro in patria e al complesso rapporto con Stalin e con il gruppo dirigente sovietico, specie negli ultimi anni di vita che coincisero con l’assassinio di Kirov e l’inizio delle grandi purghe (Gor’kij morì il 18 giugno 1936 e sulla sua stessa morte, come su quella di suo figlio, si sono sviluppate numerose versioni riconducibili anche al destino del suo segretario Petr Krjuckov e di alcuni dei medici che lo ebbero in cura). 
Meno ci si interroga invece sul significato di Gor’kij scrittore oggi, sulla vitalità  del suo retaggio letterario. Cerca di farlo con interessanti risultati appunto Bykov nel suo libro, laddove propone un proprio itinerario di lettura che si distacca dalla ricezione oleografica e celebrativa elaborata nella tradizione critica russo-sovietica. Gor’kij fu uno scrittore che riuscì a raggiungere le cime del successo letterario quando erano in vita scrittori come Tolstoj e Cechov e ben prima della comparsa della Madre e della sua canonizzazione. Questo qualcosa deve pur significare. Allo stesso tempo seppe conquistare i palcoscenici di tutto il mondo con alcune pièces di grande impatto e di sicuro impianto drammatico come mostra, ad esempio, il costante successo fino ai nostri giorni di drammi come I bassifondi e Piccoli borghesi. 
Certo, per dirla con Bykov, di alcuni grandi romanzi rimane ben poco nell’immaginario collettivo russo di oggi. Della lunga epopea su Klim Samgin l’uomo medio russo ricorda solo il proverbiale quesito: «Ma c’era poi il ragazzo?» con riferimento all’annegamento di un ragazzino che pattinava sulla riva ghiacciata di un fiume, del quale poi la gente, radunatasi intorno al luogo della disgrazia, mette in dubbio l’esistenza stessa (da qui il titolo del libro di Bykov). 
Eppure sarebbe ingiusto oggi affidare all’oblio i grandi romanzi gor’kiani, specie Foma Gordeev e L’affare degli Artamonov e la stessa Vita di Klim Samgin (ricordo che Vittorio Strada lo indicò come un’opera di sicuro riferimento per il Dottor Zivago) e l’odierna loro rilettura, sono sicuro, offrirebbe l’opportunità  di riscrivere e ritracciare molte linee dello sviluppo della letteratura russa. Quanto detto vale ancor di più per i molti racconti e novelle, come ribadisce Bykov nella sua attenta disamina. 
Tutto quanto fin qui affermato può valere da indubbio viatico alla presentazione di una nuova traduzione italiana da Gor’kij che merita particolare attenzione. Mi riferisco al volumetto contenente la povest’ Varen’ka Olesova, edito da Voland nella serie «Sirin Classica» nella traduzione di Daniele Morante (pp. 164, euro 10). La novella di Gor’kij risale al 1898 e costituisce uno splendido esercizio prosastico nel quale respira tutta la possanza della grande tradizione narrativa russa. Allo stesso tempo l’opera si pone come punto di intersecazione fondamentale per la comprensione dei grandi temi che animano l’opera di Gor’kij a cavaliere tra i due secoli. Al centro dell’attenzione due personaggi, quello dell’intelligent Ippolit Polkanov che intraprende un viaggio dalla sorella appena rimasta vedova nella sperduta provincia russa e quello di Varen’ka, una giovane, affascinante fanciulla di provincia, in possesso di uno spirito vitale, genuino, ferino. 
Pur delineando in Polkanov il ritratto a lui inviso dell’intellettuale mediocremente borghese, ipocrita e sicuro di sé che cerca nella letteratura «idee nobili» e prova compassione per il mugik, e in Varen’ka quello di una giovane di natura rapace e affascinata dal morente mondo aristocratico e le sue crudeltà , Gor’kij supera i limiti della narrazione a tesi per realizzare un quadro artistico e psicologico di sicuro impatto emotivo. Da un lato, affascina la bellezza di Varen’ka, dall’altro, colpisce la sua forza, l’energia della sua ferinità : «Nei romanzi a me piacciono piuttosto i malfattori, quelli che intrecciano con perizia maliziose reti …» afferma la fanciulla con sicurezza. 
Sullo sfondo di una Russia che sta spegnendosi, quella della nobiltà  e dell’ancien régime, si staglia l’immagine della splendida natura russa. Gor’kij ne offre un quadro indimenticabile, sottolineandone l’interconnessione con i contrastati moti interiori dei personaggi. Innokentij Annenskij ebbe infatti a lodare la profondità  di quello che a prima vista sembra un puro gioco letterario. Nella postfazione il traduttore si arrampica in una serie di arditi sdoppiamenti e agnizioni tra autore, eroe lirico e personaggi della narrazione. Francamente non è sempre agevole seguirne il tono impressionistico e il forte soggettivismo, ma convengo con lui che dell’eroina della narrazione ci si possa «un poco innamorare». E questo è un motivo in più per sprofondarsi nell’intensa atmosfera della narrazione.


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