Usa, un ex candidato rischia 30 anni E New York vuol frenare i fondi privati

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 NEW YORK – Trent’anni di carcere, per avere preso alla leggera le regole Usa sui finanziamenti alle campagne elettorali. E’ la pena massima che rischia John Edwards, ex candidato vicepresidente nel 2004 e poi in corsa per la nomination del Partito democratico nel 2008. Oltre ai 30 anni di carcere c’è una multa da 1,5 milioni di dollari nell’armamentario delle pene previsto dal codice federale. Il processo a Edwards si riferisce a fatti del 2008. Ieri è iniziata la selezione della giuria popolare in North Carolina. Sei i capi d’imputazione federale, tra cui figurano la “congiura per violare le leggi sulle campagne elettorali”, l’avere accettato “contributi illegali”, e la “frode nelle dichiarazioni sui conti della campagna”. Al centro del processo c’è la vicenda di un milione di dollari ricevuti da donatori privati: Edwards li dirottò a fini privati, anziché usarli per spese di campagna se ne servì per cercare di insabbiare (senza successo) uno scandalo sulla sua relazione extra-coniugale. Il giudice distrettuale Catherine Eagles prevede un processo-lampo. In caso di condanna al carcere Edwards dovrà  iniziare subito a scontare la pena: negli Stati Uniti non vi è rinvio in attesa di ulteriori gradi di giudizio. Il caso Edwards, mettendo in scena un personaggio che fu di primo piano nella politica nazionale, conferma una forza del sistema americano: come per l’evasione fiscale, il falso in bilancio o la frode contabile, anche per i finanziamenti alle campagne elettorali i controlli sono severi, le sanzioni implacabili, la giustizia colpisce con velocità . Su altri fronti però anche la democrazia americana ha un problema irrisolto coni costi della politica. Lo dimostra una nuova campagna in favore del finanziamento pubblico delle campagne elettorali. L’ha lanciata a New York una vasta coalizione, la New York Leadership for Accountable Government. Ne fa parte la più celebre organizzazione progressista della società  civile, MoveOn.org, insieme con Jonathan Soros figlio del più celebre George, il capitalista-filantropo David Rockefeller, l’ex sindaco Edward Koch, nonché uno dei soci fondatori di Facebook. Il loro bersaglio è la legge dello Stato di New York, troppo permissiva sui contributi privati alle campagne elettorali. Questo Stato consente ai singoli cittadini di donare fino a 60.800 dollari al fondo di campagna di un politico che si candidi a una carica locale.

New York è il più generoso di tutti gli Stati, la media americana è molto più bassa: 5.000 dollari al massimo per un candidato-governatore. Ancora più basso è il limite in vigore per i candidati in elezioni federali: 2.300 dollari per le elezioni legislative o presidenziali. Questi limiti “saltano” però qualora una lobby decida di fare in proprio una campagna sui “temi” singoli: i petrolieri o le assicurazioni sanitarie possono acquistare spazio televisivo per sostenere questo o quel programma legislativo. Sotto questa forma, usata dai Political Action Committee, il denaro affluisce verso finalità  politiche in una escalation senza limiti.

La controversa sentenza della Corte suprema detta “Citizens United” (gennaio 2010) ha stabilito che per le aziende vale la stessa libertà  d’espressione tutelata con il Primo emendamento per i singoli cittadini. La proposta lanciata a New York, anche se non incide direttamente sulle leggi federali, riporterebbe moderazione e disciplina in uno degli Stati più ricchi. Si tornerebbe al sistema in vigore nel 1988: in cambio di un drastico limite ai finanziamenti privati, i candidati locali potrebbero ricevere un contributo pubblico di 6 dollari per ogni “piccolo donatore” che versa 175 dollari alla loro campagna elettorale. Un modo per spostare il baricentro verso i finanziamenti pubblici e la “democrazia diffusa”.


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