L’ombra nazionalista sulla Serbia umiliata

Loading

Il fatto è che nel paese più importante dei Balcani, umiliato quanto a diritti internazionali, è difficile che passi la storia di macerie della guerra «umanitaria» della Nato del 1999 che ha partorito l’indipendenza del Kosovo, l’ennesima nei Balcani. Che divide la comunità  internazionale e priva la Serbia del 15% di territorio «fondativo», dice la nuova Costituzione.
La crisi economica, l’Europa e il Kosovo sono stati i temi della campagna elettorale su cui sono stati chiamati a pronunciarsi più di 7 milioni di votanti (su dieci milioni di abitanti) da tutti i partiti in lizza, dal centro alla destra – qui la sinistra non esiste – così come dai due principali candidati presidenziali, Boris Tadic presidente dimissionario ora ricandidato e leader del Partito democratico (Ds), e Tomislav Nikolic guida del Partito del progresso serbo (Sns, conservatore). Per elezioni che nell’arco di un mese hanno cambiato segno. Fino ai primi giorni di aprile erano ancora legislative e amministrative. All’improvviso, anche di fronte ai sondaggi che davano sconfitto il Partito democratico, Tadic ha deciso di scendere in campo direttamente accorpando forzatamente all’ultimo momento le presidenziali previste per il febbraio 2013. Sventalovano soprattutto le bandiere europee al suo comizio di chiusura mercoledì scorso a Belgrado. Perché l’obiettivo della presidenza Tadic, del governo Cvetkovic e del Partito democratico è sempre stato l’adesione all’Unione europea, quasi ad ogni costo, per uscire dal pantano nazionalista e dalla sconfitta consumata nell’era Milosevic. Quasi ad ogni costo però, perché Boris Tadic, di fronte alla proclamazione unilaterale d’indipendenza di Pristina nel febbraio del 2008 ha risposto inserendo nella nuova Costituzione serba l’articolo che «Il Kosovo è terra irrinunciabile per il popolo serbo», perché fondativa della storia, della cultura e della religione serba. Così la sua promessa è sempre stata: «L’Europa e il Kosovo». A sei anni dalla sua presidenza la Serbia non è ancora nell’Unione europea, ha ottenuto solo una modesta candidatura all’adesione, a fatica e contro ricatti durissimi in primo luogo della Germania – la stessa Angela Merkel ha minacciato che «senza riconoscimento del Kosovo niente adesione». Mentre il Kosovo resta indipendente, pure se il Consiglio di sicurezza Onu non riconosce il nuovo stato, se divide la stessa Ue (Grecia, Spagna, Romania, Slovacchia e Cipro nord non la riconoscono) ed è stata avallata solo da un parere solo consultivo della Corte dell’Aja con una sentenza giudicata da molti come un pericoloso precedente che apre il vaso di Pandora delle secessioni nel mondo.
Fatto paradossale, il Kosovo indipendente ha proibito il voto di domani dei serbi delle enclave kosovare che non riconoscono l’autorità  di Pristina, appoggiata in questo dall’Onu che si è dichiarato incapace a gestire i seggi e dal silenzio della missione Eulex. Una provocazione, se solo si tiene conto del fatto che la presenza internazionale della Kfor-Nato – allertata con l’invio di altri 700 militari per questo voto incandescente – e dell’Unmik-Onu è legittimata dalla Risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza dell’Onu del 1999 che autorizzò l’ingresso della Nato ma garantendo la sovranità  di Belgrado sulla regione. La vicenda si è sbloccata solo due settimane fa con la rinuncia del governo di Belgrado – e con uno smacco per Tadic – al voto amministrativo nei comuni a prevalenza serba (ma a Zvetcan e Zubin Potok, in Kosovo, voteranno lo stesso) ma mantenendo il voto politico e per le presidenziali, e con la disponibilità  dell’Osce stavolta a proteggere il voto della minoranza serba. E peserà  sul voto. Tantopiù che in campagna elettorale un sondaggio ha verificato la contrarietà , al 70%, dei serbi verso l’adesione alla Nato: perché, come per tutto l’Est Europa, il miraggio della democrazia Ue deve essere anticipato dalla disponibilità  – in bilanci, uomini e armi – verso l’Alleanza atlantica.
Ma non solo di Kosovo e macerie vuole vivere la Serbia. Tadic e il Partito democratico promettono un «futuro europeo», la riconciliazione con tutti i popoli e «la difesa del Kosovo ma non per riattivare una nuova guerra agli albanesi», insistendo sulla prosecuzione delle riforme economiche (le privatizzazioni) e sull’attrazione di nuovi investimenti. E presentando come fiore all’occhiello il rilancio degli stabilimenti Fiat di Kragujevac, salvati dagli operai sotto i bombardamenti della Nato nel 1999 e ora ereditati dal profittevole Sergio Marchionne con larghe provvigioni dello stato serbo. L’ad di Lingotto il mese scorso nel lanciare la nuova 500L ha fatto il suo comizio elettorale a favore di Tadic. Fiore all’occhiello contestato, per la riduzione del paese a nuova terra di delocalizzazioni, senza diversificazioni produttive mentre crolla il mercato dell’auto. Con una disoccupazione ben oltre quella spagnola, una corruzione dilagante e una crescita spaventosa della povertà  contro la quale il candidato conservatore Nikolic promette la «guerra», così come critica le privatizzazioni avviate dal Partito democratico «responsabili della perdita di tanti posti di lavoro». E sul Kosovo e l’Europa lo slogan di Nikolic, ex sodale nel Partito radicale dell’ultranazionalista di Vojslav Seselj ora imputato all’Aja, con cui ha rotto fondando la nuova formazione nazionalista del Partito del progresso, promette: «Nell’Unione europea solo con il Kosovo».
Boris Tadic l’ha detto chiaro, invitando tutti i serbi ad andare a votare: sarà  impossibile gestire una presidenza democratica con un governo di altro segno. Ma i sondaggi lo contraddicono: per le politiche e le amministrative il Partito del progresso serbo è in vantaggio di qualche punto sul Partito democratico; per le presidenziali Tomislav Nikolic è dato in vantaggio, al 33,5% su Boris Tadic che è al 28,3%, ma al ballottaggio il presidente uscente e ricandidato è dato vincente. Bisognerà  vedere come si schiereranno gli altri candidati, da Ivica Dacic del Partito socialista serbo (già  di Milosevic) che è stato ministro degli interni nell’attuale coailizione di governo con il Prtito democratico e che è dato all’11,8%, Cedomir Jovanovic del Partito liberaldemocratico (l’unico favorevole all’indipendenza del Kosovo e grande interlocutore degli Stati uniti) accreditato al 6%; l’ex presidente Vojslav Kostunica, l’uomo che ha cacciato Milosevic, del Partito democratico serbo dato al 6%; e infine l’ultranazionalista Seselj dei Radicali serbi con il 5,5%. Il rischio è una nuova ingovernabilità . Proprio mentre l’Unione europea, in preda ad una «sindrome jugoslava» come ha scritto su LiMes Stefano Bianchini, si divide sui costi della crisi del capitalismo globale e diventa sempre meno appetibile in tutto l’Est europeo.


Related Articles

Grecia, si allenta il debito, e ora Tsipras pensa a nuove elezioni

Loading

Ora, bisognerà vedere come Tsipras e la sinistra greca gestiranno questi risultati. Uno degli scenari è il poter andare a elezioni in autunno

L’EUROPA DEI CITTADINI PIà™ DEMOCRAZIA, MENO MERCATI FINANZIARI

Loading

Il filosofo tedesco contro le politiche di Angela Merkel. Tiepide verso una maggiore integrazione. Arroganti con i popoli. Succubi degli speculatori

1948-Gaza 2023. Lo sguardo lungo dei bambini

Loading

Attualità del romanzo dell’israeliano S. Yzhar «Khirbet Khiza» del ‘49. L’io narrante partecipa alla cacciata dei palestinesi ma si ribella perché scopre nell’“altro” il comune destino dell’esilio

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment