Rifiuti, quella tassa pagata due volte lo Stato rischia di dover restituire 1,3 miliardi

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Sono circa 7 milioni di famiglie: aspettano da quattro anni la restituzione dell’Iva che hanno ingiustamente pagato sulla Tia, la tariffa di igiene ambientale, negli ultimi dodici anni. Si tratta in realtà  di una “tassa sulla tassa”, un’imposta al quadrato, giacché la Tia non è altro che la versione alternativa e opzionale per i Comuni della Tarsu, la tassa sui rifiuti solidi urbani. Per lo Stato c’è il rischio di dover sborsare 1,3 miliardi, a tanto ammonta infatti, secondo uno studio della Uil Servizio politiche territoriali, l’Iva pagata illegittimamente, come hanno stabilito Cassazione e Corte costituzionale. In un momento in cui le finanze pubbliche sono sotto forte tensione. 
La vicenda nasce all’inizio dello scorso decennio, quando è stato possibile per i Municipi optare tra la vecchia Tarsu, una tassa vera e propria, e la nuova Tia, un sistema imperniato sulle tariffe. A partire da allora 1.256 sindaci hanno scelto la strada della tariffa, accantonando la Tarsu e introducendo la nuova Tia. Perché lo hanno fatto? Semplicemente perché scegliere la tariffa piuttosto che la tassa permetteva di scorporare gli incassi dal Patto di Stabilità  interno che ingabbia spese e entrate ai fini del controllo delle finanze pubbliche. 

ALT DAI CONSUMATORI
Si è trattato di una operazione che ha avuto un effetto collaterale non trascurabile. Scelta la Tia, ovvero, la tariffa, è scattata infatti anche l’Iva al 10 per cento come per qualsiasi altra prestazione di servizi. Per qualche tempo nessuno ha protestato, ma poi la questione è finita nel mirino di associazioni dei consumatori, semplici cittadini e sindacati che hanno colto l’ingiustizia del “doppio balzello”. 
Così la vicenda è arrivata sul tavolo della Corte costituzionale (nel 2009) e della Corte di Cassazione (sentenza 3.766 dell’8 marzo scorso) che hanno detto stop alla “tassa sulla tassa”. La motivazione? Mentre gas e acqua sono misurabili e dunque “tariffabili”, hanno spiegato sostanzialmente i giudici, i rifiuti consumati non si possono misurare, al massimo si può legare la tassa/tariffa ai metri quadrati della casa o al numero di componenti. Dunque ci troviamo di fronte una tassa a fronte di un servizio indivisibile, e non una tariffa. Questo hanno stabilito le due alte Corti.
Dichiarata illegittima la tariffa, sono scattate le istanze di rimborso. Molti cittadini le hanno presentate alle società  di gestione della raccolta rifiuti e altri ai Comuni: ma la risposta è stata, da parte di entrambi, che la faccenda riguardava lo Stato centrale giacché i Municipi avevano svolto il ruolo di semplici esattori. Di conseguenza il contenzioso, sempre più voluminoso, si è trasferito di fronte alle Commissioni tributarie. Molti altri cittadini invece si sono rivolti all’Agenzia delle Entrate: ma anche in questo caso la risposta non è arrivata.

STRATAGEMMA DI SILVIO
Da qualche anno, la patata bollente scotta tra le mani dei governi che hanno tentato di disinnescare l’esplosiva questione. L’esecutivo Berlusconi, ad esempio, escogitò uno stratagemma: con la manovra del 2010 stabilì che i contenziosi sulla “tassa sulla tassa” andassero discussi di fronte al giudice ordinario e non semplicemente di fronte a quello tributario. Un particolare non irrilevante, visto che per riavere indietro 208 euro (la media di Iva pagata da ciascuna dei 7 milioni di famiglie che attendono il rimborso) bisognava attivare una pratica che costa almeno altrettanto in bolli.
Anche il governo Monti non ha ignorato la spinosa vicenda e per il prossimo anno ha preparato un “ribaltone”: la Tarsu e la Tia spariranno e arriverà  la Tares, esplicitamente considerata una tassa, dunque al riparo dall’applicazione dell’Iva e dai contenziosi. Così il viceministro per l’Economia Grilli pochi giorni fa, durante un question time in Parlamento, ha potuto affermare che in futuro il problema «non si ripresenterà ». Ma il nodo vero resta quello delle casse dello Stato: alle imprese ha restituito 2,2 miliardi di crediti Iva, e intanto annuncia una compensazione tra crediti e debiti verso lo Stato. Invece le famiglie dovranno ancora attendere: anche perché l’apposito Fondo restituzione imposte del ministero del Tesoro è stato intaccato per reperire risorse necessarie alla riforma degli ammortizzatori sociali. Insomma, quando si tratta di incassare lo Stato corre veloce, ma quando deve pagare ha il passo della tartaruga.


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