Carceri, il trucco della capienza Intanto si continua a morire in cella

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ROMA – Nelle 206 carceri italiane non c’è spazio. Sono 21 mila i detenuti in più, rispetto ai posti letti disponibili nei penitenziari del nostro Paese: ovvero, 145 persone per 100 letti. Questi i numeri dell’Associazione Antigone, che dal 1991 si interessa della tutela dei diritti e delle garanzie nel sistema penale e penitenziario in Italia e dal 1998, con il pieno consenso del Ministero di Grazie e Giustizia, entra fisicamente nelle carceri italiane, per sondare le situazioni dei singoli penitenziari, per divulgare dati e segnali di pericolo, per lanciare campagne di denuncia e sottoscrizioni e richieste di partecipazione civile e solidale.

Le morti, i suicidi. Attualmente si sta occupando, tra le altre cose, di diffondere i dati della condizione carceraria del nostro Paese nel 2012. E la situazione è allarmante, per i fatti taciuti e omessi e per quelli più noti: il sovraffollamento, le pessime condizioni igienico-sanitarie, le morti  spesso ingiustificate (89 dall’inizio dell’anno, fino al 22 luglio scorso); i suicidi (31) che tra le sbarre si rincorrono sempre più spesso. Nel terzo millennio e nelle così dette società  civili, i luoghi di pena sono per loro stessa natura obsoleti e inadatti a salvaguardare la dignità  umana. “Per chi commette fatti non gravi – sostiene il Presidente di Antigone, Patrizio Gonnella – l’impiego in lavori socialmente utili è ben più utile che non scontare qualche mese in carcere, efficace solo invece nel creare carriere devianti e suicidi”. 

Cifre che nascondono la realtà .
Se questo è vero in generale, gli istituti di pena  italiani spiccano per le condizioni di sopravvivenza nelle quali vivono i detenuti. Solo in apparenza, infatti, la capienza dei nostri penitenziari in questi anni è cresciuta. C’è una mistificazione della realtà  in queste notizie. Dal 2007 al 2012, riferisce il Ministero della Giustizia, l’Italia ha aumentato la capienza delle sue carceri di 2.557. In effetti si tratta semplicemente del fatto che, negli stessi istituti, i detenuti vengono stipati ovunque, trasformando in celle tutti gli altri ambienti, a scapito dei luoghi comuni, indispensabili per la quotidianità  dei reclusi. Nelle carceri c’è sempre meno spazio, dunque, ma sulla carta la loro capienza aumenta. E alcuni casi sono particolarmente emblematici.

Reparti carcerari inagibili da nord a sud. Partiamo da una delle regioni più progredite, la Toscana. La capienza della regione, secondo le fonti ministeriali cresce di oltre 300 posti, ma non ci sono nuovi istituti o nuovi padiglioni, e in realtà  la vivibilità  odierna è certamente peggiorata rispetto al 2007. Oggi l’istituto di Arezzo è del tutto chiuso, e quello di Livorno lo è in buona parte, mentre a Porto Azzurro sono chiuse ben due sezioni. In realtà  c’è dunque meno spazio, ma la capienza regolamentare della regione cresce. Un’incongruenza evidente, che però fa gioco alle casse dello Stato, dal momento che rende qualunque piano carceri del tutto superfluo. L’incongruenza, intanto, si estende ad altri luoghi di pena: a L’Aquila, dove a causa del terremoto il carcere è stato in buona parte sgomberato, ad eccezione del reparto per il 41bis (il regime di carcere duro per i reati di criminalità  organizzata, terrorismo, evasione e simili). Anche in questo caso la capienza ufficiale dell’istituto è rimasta immutata. 

Altrettanto succede a Gorizia. Qui le perdite degli scarichi dei bagni interni alle celle rendono inagibile un piano, sopra il quale i detenuti continuano a vivere e a camminare in una struttura impregnata d’acqua. 

Monza. Dove parte del carcere è stata sgomberata perché quando piove si allaga. A Piacenza, mentre è iniziata la costruzione del nuovo padiglione previsto dal piano carceri, il padiglione per i detenuti sottoposti ad art. 21 (coloro che possono lavorare fuori delle mura carcerarie) è inagibile perché piove all’interno del reparto. 

Sassari. Un intero piano della vecchia struttura carceraria ottocentesca è inagibile. 

Roma. Nel carcere di Regina Coeli, due sezioni sono completamente chiuse. La VI sezione, chiusa a febbraio 2012, ospitava 157 detenuti. Anche a Rebibbia un reparto è completamente fuori uso, per poter essere adeguato al regolamento del 2000; si tratta della prima ristrutturazione dell’edificio dalla data della sua consegna: era l’anno 1946. 

Potenza e Matera. Anche nelle Case di Reclusione dei due capoluoghi lucani sezioni risultano chiuse.

Il trucco. Gli esempi sono moltissimi, e si può dire che ormai ci sono celle inagibili praticamente in ogni istituto. La realtà  è che nei penitenziari le condizioni materiali si deteriorano, mentre non ci sono più risorse economiche per la manutenzione. Ma la capienza “regolamentare” misteriosamente aumenta. 

Le carceri pugliesi le più disagiate. La Regione con il più alto tasso di sovraffollamento è la Puglia, seguita da Lombardia e Liguria. I penitenziari più vivibili, invece, sono in Trentino Alto Adige. In Campania ci sono più imputati che persone condannate. Mentre la regione con meno imputati è il Molise. Complessivamente 2 persone su 5 sono dentro ancorché presunte innocenti. “Ridurre i detenuti serve anche a ridurre la spesa pubblica. È questo un risultato capace di assicurare anche una maggiore sicurezza collettiva, infatti la permanenza in carceri indegne produce tassi alti di recidiva – dichiara ancora il Presidente di Antigone, Patrizio Gonnella – Per decongestionare il sistema bisogna agire sul fronte delle entrate e delle uscite. La legge Fini-Giovanardi va sostituita con una legge più coraggiosa, meno punitiva e più aperta”.

Già  89 i morti in carcere nel 2012.
Dall’inizio del’anno al mese di luglio, sono morte in carcere 89 persone, ai quali vanno aggiunti 2 decessi all’interno delle camere di sicurezza della questura di Firenze. Di queste persone, 31 si sono tolte la vita. L’ultimo è avvenuto il 15 luglio nel carcere di Carinola (Ce), Angelo aveva 41 anni. Altre 7 persone sono decedute per malattia. Ventitre detenuti sono morti poi per cause ancora da accertare. I restanti, sono stati uccisi in carcere, fulminati da un’overdose, o nella speranza di ottenere voce con uno sciopero della fame. 

Il primato di Marassi. Il triste primato spetta al Marassi di Genova, con i suoi 5 decessi: uno per suicidio, uno per infarto e gli altri da accertare. Segue Roma, dove a Regina Coeli, dall’inizio dell’anno, sono tre i detenuti deceduti: uno era malato ed è morto nel centro clinico del carcere; un altro è stato colto da infarto durante la notte e, secondo le testimonianze dei compagni di cella, non adeguatamente soccorso dal medico di turno;  per ultimo un trentenne trovato morto in cella, con tutta probabilità  a causa di una overdose. A Rebibbia, sempre nella capitale,  un detenuto, minorato psichico, italiano, di 36 anni, è stato trovato morto nella sua cella. Era un giorno d’aprile e si tratta del sesto decesso avvenuto nelle carceri del Lazio dall’inizio dell’anno.


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