Il pilastro mancante di Assad

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La notizia è passata quasi inosservata, ma potrebbe segnare una svolta nella crisi siriana. Si tratta della defezione, con fuga a Parigi via Turchia, del brigadiere-generale Manaf Tlass. Eppure, questo è un evento che colpisce al cuore il regime siriano, perché Tlass è una figura assai vicina a Bachar al Assad. 
Nelle analisi usuali sulla struttura del potere di Damasco si parla di solito del clan alawita degli Assad e di quello dei Makhlouf, da cui proveniva la moglie di Hafez el Assad, ora saldamente rappresentato da Rami e Hafez, cugini del presidente Bashar. Queste due famiglie in effetti si sono divise il potere politico e non solo: gli affari, il potere militare, i servizi segreti. Si parla di Rami Makhlouf, l’uomo più ricco della Siria; di Maher, il fratello minore Assad che guida le guardie pretoriane, di Hafez Makhlouf nel board dei servizi segreti, finora gestiti dal potentissimo Assef Shawkat cognato di Bachar (una delle vittime eccellenti dell’attentato che ha decapitato il vertice della sicurezza a Damasco la scorsa settimana). Questa la nomenklatura in cui Bachar è descritto a volte come il re travicello, più spesso come colluso e pienamente responsabile.
Ma in questa architettura c’è un terzo pilastro, fondamentale per la tenuta del sistema fin dall’inizio dell’era Assad. C’è infatti una terza famiglia nel cerchio del potere: quella sunnita dei Tlass, originari di Rostan nella regione di Homs. Questa famiglia ha acquisito importanza grazie alla strettissima collaborazione che più di 40 anni fa Mustafa Tlass ha fornito al compagno di accademia e futuro presidente Hafez el Assad. Mustafà  Tlass, che poi è stato ministro della difesa per ben 32 anni, dal 1972 al 2004, è stato un personaggio potentissimo, fuori dalla scena ma in termini sostanziali, poiché ha coagulato a supporto del regime importanti élites sunnite militari e del mondo commerciale imprenditoriale. Il colpo di stato che ha portato al potere Hafez el Assad e la successiva esautorazione della vecchia guardia del partito Baath non sarebbero stati possibili contando solo sulla minoranza alawita, dominante nelle forze speciali e nell’aviazione, senza l’appoggio delle forze armate di terra. 
Mustafa Tlass è anche stato il regista delle più dure repressioni, sia contro gli islamisti che contro i gruppi laici di sinistra, in gran parte di estrazione sunnita. Una sorta di Avatar del vecchio Assad – benché questi avesse una personalità  ben più forte del figlio Bachar – fino al 2000. Alla sua morte ha avuto un ruolo essenziale anche nel favorire l’ascesa al trono di Bachar contro altri pretendenti, dallo stesso fratello di Hafez al Assad, Rifaat, già  protagonista di un fallito colpo di stato, al potente vicepresidente Abdel Halim Qaddam.
Questa seconda generazione di rampolli delle famiglie di élite si sono divise i ruoli: gli Assad e i Makhlouf da una parte, i Tlass dall’altro, riproducendo la situazione precedente. I figli di Mustafa Tlass entrano nel potere economico e militare: Firas Tlass è uno degli uomini più ricchi del paese, secondo solo a Rami Makhlouf, mentre Manaf Tlass, giovane brillante amico e compagno di accademia di Bachar diviene generale nella Guardia repubblicana comandata da Maher el Assad; è incaricato della protezione di Damasco a capo della brigata 105. Manaf diventa l’uomo di fiducia del presidente proprio come il padre Mustafa lo era stato per il vecchio Assad.
Nel frattempo Firas fa bingo sposando una donna dell’aristocrazia sunnita più importante di Aleppo – e forse questo non è estraneo al fatto che i sunniti bene di Aleppo, crema del business siriano, si siano tenuti alla larga dalla contestazione. Infine il clan Tlass, proprio perché appartiene alla maggioranza sunnita, ha funzionato da garante anche per la minoranza cristiana, alimentando le loro paure sul pericolo dell’islamismo radicale già  schiacciato ad Hama nel 1982.
In questi mesi di crisi dunque non è l’esercito a muoversi per reprimere, ma solo la Guardia repubblicana e la milizia paramilitare alawita.
Poi però questa costruzione comincia a sgretolarsi. L’anno scorso Tlass padre va in Francia a curarsi, poi si defila anche il fratello ricco, e cominciano a portare fuori i loro soldi. La frattura è aggravata dal fatto che un cugino dei Tlass, Abou Abdel Razzak, si è unito ai ribelli e ha costituito una brigata anti-regime. Anche questo ha cominciato a creare le ire dei clan Assad e Makhlouf.
Solo il brigadiere-generale Manaf resta, ed è l’uomo che sostiene la necessità  di trattare con l’opposizione, soprattutto quando i ribelli arrivano attorno a Damasco. Stiamo parlando degli ultimi mesi: Manaf ha cercato di trattare con i ribelli un ritiro reciproco, ma – ha lamentato – i servizi segreti (guidati dai Makhlouf e da Assef Shawkat) non lo hanno lasciato lavorare, lo hanno ostacolato, gli hanno impedito di sviluppare un discorso politico con il risultato di esporre il paese al caos e a interventi stranieri.
La defezione di Manaf Tlas apre un nuovo scenario. L’effetto è dirompente: ora molti sunniti, e molti ufficiali dell’esercito, sanno che non c’è più nulla da fare, che i loro punti di riferimento hanno abbandonato il regime. È il segnale di una svolta – ne sono il segno le defezioni di altri 45 ufficiali nei giorni scorsi, e probabilmente anche la ripresa di combattimenti a Damasco e Aleppo, o il fatto che la Lega Araba offra una «uscita con garanzie» a Bachar al Assad.
Nella sua prima dichiarazione pubblica dopo la fuga, Manaf Tlass ha lanciato un appello all’opposizione a unirsi e ha chiesto ai militari siriani di abbandonare Assad. Pare che ora sia in pellegrinaggio alla Mecca (per rinverdire le sue credenziali musulmane?). Ma mentre l’opposizione siriana in questi mesi si è divisa, il nome del generale Tlass comincia a circolare come il possibile capo di un «Consiglio supremo delle Forze armate», stile egiziano, che potrebbe mantenere l’unità  dell’esercito e farne un garante della transizione: sembra in ogni caso che sia i sauditi, sia la Francia e anche la Russia vedano con favore un suo ruolo. 
C’è da augurarsi dunque che l’uscita di Manaf Tlass segni un rientro in scena dei sunniti, intesi come componente nazionale, rispetto alle frange combattenti che vengono dall’Iraq e altrove, di tendenze islamiste, qaediste, jihadiste, decisamente legati a forze esterne. La discesa in campo dei sunniti della Siria come forza economica, politica – e dietro a loro dei cristiani – potrà  forse bloccare la deriva .
Quanto agli esiti futuri, la transizione sarà  graduale. Il rischio di una guerra civile secondo linee etnico-religiose, spesso evocato, sembra improbabile. Bisogna considerare che gli alawiti non sono un blocco unico ma quattro grandi comunità , distribuite in zone diverse. Il clan degli Assad è un gruppo all’interno di una di queste. Il gruppo di Latakia è quello che tra l’altro ha prodotto gli shabiya, i gruppi che, protetti dal regime e da Makhlouf, erano trafficanti ed erano armati, e ora sono indicati come agenti della repressione. Tra gli alawiti molti pensano che questo strapotere del clan di Latakia sia stato deleterio. 
Insomma, non è detto che ci sia una evoluzione in termini di scontro confessionale, a meno che non prendano l’egemonia le frange radicali e qaediste che considerano in blocco gli alawiti come apostati. Ma questo è proprio l’esito che ora tutti vogliono evitare.


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