Quel moloch di marmo calamita per incubi e sogni della Grande Mela

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Nella sua architettura Art Deco, evocativa di sfide blasfeme da Babilonia e di frequentazioni da Ghostbuster, il palazzo intitolato al soprannome dello Stato di New York, appunto lo “Empire State”, è un magnete tanto irresistibile quanto ambiguamente sinistro. Dunque la scelta del grattacielo simbolo per sparare all’America, e a se stessi traditi dall’America, è simbolicamente irresistibile. Niente rappresenta la follia, la grandezza, la megalomania americana come questo grattacielo. Era stato eretto in appena 11 mesi nel 1931 a dispetto della Grande Depressione, della miseria che brulicava ai suoi piedi, delle vite di fabbri, carpentieri, rivettatori, elettricisti, marmisti, indiani acrobati da cantiere che ne hanno fatto il Moloch sul cui altare periodicamente l’America deve pagare tributo di vite.
L’Empire State Building non ha certamente atteso che il solito, immancabile “folle” armato dai pazzi più pazzi di lui che hanno voluto la metastasi delle armi negli Usa, decidesse di vendicarsi del mondo e sparasse sui passanti alle nove di mattina, all’angolo fra la Quinta e la 34esima strada. Dal primo giorno della propria vita il King Kong della skyline di New York ha preteso la propria quota di sacrifici umani. Sembra, a chi lo vede, lo visita, lo avvicina dal basso, una cosa viva e preoccupante.
I tre milioni e mezzo di turisti
che pazientemente s’accodano per salire sugli ascensori verso l’osservatorio dell’86esimo piano vogliono soltanto vedere l’infinito che nelle giornate limpide si estende fino a cento chilometri di distanza, dicono. Non sanno che il committente e il finanziatore, Pierre DuPont, il miliardario della chimica arricchitosi con la produzione di polvere da sparo nella Grande Guerra dunque con la morte di massa, rischiarono la bancarotta. I più temerari si avventurano sui 1.576 gradini che portano all’osservatorio come fecero le migliaia di immigrati appena vomitati dai bastimenti e le centinaia di nativi Mohawk, reclutati perché indifferenti alle vertigini o troppo affamati per badarci. Si spiaccicarono al suolo cinque di loro.
Neppure le Due Torri avevano mai risucchiato tanti devoti per tanto tempo, dalle centottanta nazioni che pompano visitatori nel grattacielo che dal primo film di King Kong “è” New York. Anche ieri mattina poco dopo le nove, quando i feriti sono cominciati a cadere sul marciapiedi, la prima persona a rendersi conto di quanto stava accadendo e a chiamare il 911 è stata una turista egiziana, Aliyah Imam.
Contro la parete nord, fra il 79esimo e l’80esima piano, si schiantò nel luglio del 1945 un bombardiere B25 che era sopravvissuto indenne a missioni di guerra
sulla Germania, ma non alla dannazione del mostro aguzzo, ironica tragedia per un grattacielo che era stato concepito anche come approdo per dirigibili. Dal terrazzo dell’osservatorio, oggi blindato e chiuso da alte gabbie, si sono gettate 50 persone, quasi una ogni anno. E il primo a buttarsi non attese neppure che fosse completato. Si uccise quando seppe che la sua opera di rivettatore non era più richiesta ed era stato licenziato. Esattamente come colui che sembra sia stato lo sparatore di ieri mattina.
È una divinità  vivente, non benigna, quella torre di Babele conficcata nel cuore dell’isola, a Midtown, nel centro di Manhattan. Si lascia adorare. Si lascia frugare ed esplorare, nella propria superba bellezza retrò. Ma si vendica di coloro che nel 1930, quando l’America di Herbert Hoover — che da Washington diede il via alla prima picconata per annunciare la «fine della Depressione» — e di Wall Street agonizzava, profetizzarono che sarebbe morto prima ancora di nascere e non avrebbe comunque superato una vita utile di 50 anni prima di essere abbattuto.
Non discrimina, nei sacrifici umani che richiede, e si offre a tutte le cause, le psicosi, le depressioni. Nel 1997, Abu Kamal, un palestinese disperato per il tradimento continuo della propria gente, si arrampicò fino all’Osservatorio e scaricò una Beretta calibro 9, l’arma d’ordinanza degli ufficiali americani comperata in un mercatino della Florida, contro i turisti, per rabbia contro l’America, Israele, l’Europa, informandosi prima di sparare se i suoi obiettivi fossero arabi. Ammazzò un mite musicista danese che aveva per caso deciso di visitare l’Empire State Building nella prima mattina del primo viaggio a New York. Il grattacielo si lavò di dosso anche quel sangue e si rimise, paziente, ad aspettare il prossimo. È arrivato un mattino qualsiasi di agosto, nel tempo di un’altra depressione, proprio come il primo.


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