Sulcis, lotta esplosiva

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Riesplode la protesta dei lavoratori sardi: questa volta sono i minatori della Carbosulcis. Hanno occupato la miniera di Nuraxi Figus, situata nell’area sudoccidentale dell’isola e sono scesi a 370 metri di profondità  perché gli venga riconosciuto il diritto al lavoro. All’ingresso della miniera i cumuli di carbone appena estratto impediscono l’accesso alle auto. È custodito nella miniera anche un quintale di tritolo. 
In Sardegna ormai le forme di lotta diventano sempre più radicali: o si occupa l’isola dell’Asinara (gli operai della Vynils), o si blocca l’accesso all’Aeroporto di Elmas (i lavoratori dell’Alcoa), o si scende nelle miniere a centinaia di metri di profondità  come fanno attualmente i minatori. L’obiettivo è sempre il solito: conservare le attività  produttive per tutelare il diritto alla sopravvivenza di migliaia di cittadini.
Ma la classe dirigente, in primis il governo e la giunta regionale, che dovrebbero rispondere a queste esigenze si mostrano sempre più insensibili e disinteressate. Temporeggiano sulle risposte da dare e sulle decisioni che invece andrebbero prese con la massima tempestività . La politica del rinvio è quella prevalente, così si arriverà  alle scadenze in cui gli ammortizzatori sociali non avranno più efficacia. 
Attualmente i minatori di Nuraxi Figus hanno deciso l’occupazione per ottenere il finanziamento del progetto che prevede l’integrazione della miniera con la centrale di stoccaggio dell’anidride carbonica nel sottosuolo. C’è una ragione precisa in questa lotta, fra pochi giorni si terrà  al ministero dello Sviluppo economico un incontro sulla vertenza Sulcis dove si affronteranno per l’ennesima volta i problemi legati alle aziende in crisi: Alcoa, Eurallumina, Portovesme srl e Carbosulcis. I lavoratori vogliono perciò tenere alta la tensione perché il governo non rinvii ulteriormente decisioni che sono improrogabili. Se questo incontro dovesse chiudersi ancora con un nulla di fatto l’intera area del Sulcis sarebbe destinata a subire una crisi irreversibile: una decina di migliaia di lavoratori, compresi quelli dell’indotto, rimarrebbero senza lavoro con l’aggravante di trovarsi in un territorio fortemente devastato dagli effetti delle lavorazioni dei materiali inquinanti.
Il progetto integrato rivendicato dai minatori necessita di un investimento di un miliardo e mezzo di euro da distribuire in 8 anni; è fondamentale anche l’impegno dell’Enel nella fornitura di energia per tutte le aziende del Sulcis. L’abbassamento dei costi dell’energia è essenziale perché qualsiasi attività  produttiva possa realizzarsi in Sardegna in condizioni paritarie con le imprese che operano in altre aree geografiche. I costi dei trasporti risultano infatti insopportabili per chiunque intenda promuovere processi di industrializzazione.
I minatori che hanno occupato Nuraxi Figus sono consapevoli di questo e si dichiarano determinati nel condurre la lotta sino in fondo: «Andremo avanti ad oltranza – dicono – il carbone è strategico così come lo è l’alluminio. Non si può pensare di chiudere le fabbriche senza provocare gravi conseguenze». E chiedono che la vertenza del Sulcis abbia la stessa dignità  di quella dell’Ilva di Taranto, senza per questo dar vita ad iniziative campanilistiche.
Nella conduzione di questa lotta le organizzazioni sindacali sono impegnate in modo unitario. «Non è pensabile, dicono, che davanti ad una crisi di questa portata i lavoratori e con loro le diverse organizzazioni sindacali si mobilitino separatamente. Se facessero così renderebbero lo scontro col governo ancora più difficile, si andrebbe incontro ad una sconfitta sicura». 
È di questo avviso anche Francesco Garau, segretario del sindacato dei chimici della Cgil. Il progetto integrato con la centrale di stoccaggio dell’anidride carbonica nel sottosuolo è indispensabile. Non solo, dice Garau, verrebbe garantita la produzione senza rischio di inquinamento, ma potremmo incrementare notevolmente la stessa passando dalle attuali 300.000 tonnellate alle 800.000 previste. Questa sarebbe un’ottima soluzione perché permetterebbe la produzione a costi ridotti dell’energia elettrica. Ne trarrebbero vantaggio le stesse aziende che attualmente rischiano la chiusura definitiva a causa dei costi elevati delle’energia. È inspiegabile che il governo non si attivi per rendere praticabile questa soluzione. In realtà  si tratterebbe di applicare la normativa prevista per la produzione delle energie rinnovabili, come l’eolico o il fotovoltaico. 
Ma forse hanno ragione coloro che sostengono che bisogna alimentare altre proteste prima che il governo si renda conto dello stato di crisi che vive la Sardegna.


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