«Siamo pronti a governare l’Italia»

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REGGIO EMILIA — Petto in fuori: «Siamo più forti di quanto pensiamo, siamo un partito senza padroni, via le paure». La voglia di tornare protagonisti: «Siamo pronti a governare il Paese». La sensazione che da qui al voto ogni angolo potrebbe nascondere un agguato: «Si muoveranno forze antiche o travestite di nuovo per tagliarci la strada, il clima è pesante e non risparmia nemmeno il presidente Napolitano». Pier Luigi Bersani cerca e trova il suo popolo in un pomeriggio reggiano reso cocente dal sole e colorato dalle migliaia di bandiere che attorniano il palco della Festa nazionale democratica. Concetti diretti: non è giornata per messaggi cifrati. Il segretario parla al cuore dei suoi, stuzzica l’orgoglio di partito: vuole unità  d’intenti, forse temendo che la stagione dei tecnici abbia in parte anestetizzato la tradizionale passione dei «compagni». Dal palco sciorinano cifre incoraggianti: 7 mila volontari al raduno reggiano, che diventano un esercito di 250 mila se si calcolano le 2 mila feste allestite in tutta Italia.
Suda e si sbraccia Bersani, calato in una coreografia tutt’altro che casuale: sul palco, per la prima volta nella decennale storia della Festa, non ci sono i big del partito, ma i volti del terremoto in Emilia, volontari e sindaci. Il segretario prende subito di petto il tema di giornata: il Monti bis. «Il prossimo governo — tuona — lo decideranno solo gli italiani, non i banchieri o qualche agenzia di rating». Il Pd si presenterà  al voto con l’obiettivo di vincere sulle ali di uno schieramento che «unisca i progressisti alle forze moderate ed europeiste per fare argine contro le destre e le tendenze populiste». Parla per più di un’ora, il leader del Pd. Cita il cardinale Carlo Maria Martini, Lucio Dalla, Nilde Iotti, Alcide Cervi. Non Matteo Renzi, suo avversario alle primarie, che alla chiusura della Festa nazionale ha preferito un comizio a Castrovillari, nel Cosentino. Bersani assicura che la consultazione interna «si farà  e sarà  aperta, ma per parlare dell’Italia, non delle nostre ambizioni personali: non è tempo di tribunali o bilanci, per queste cose ci sarà  un libero congresso».
Al governo Monti ribadisce «lealtà », perché, aggiunge, «noi non siamo gente che fa trucchi, anzi, invitiamo il premier a respingere i quotidiani ricatti altrui». Onore al merito al Professore «per la credibilità  e il rigore che ha mostrato davanti a tutto il mondo», ma ciò non significa, puntualizza il segretario, che il Pd non abbia una sua ricetta, in parte diversa: «Vogliamo più lavoro, più uguaglianza e più diritti. Va spezzata la spirale tra austerità  e recessione: bisogna produrre di più e puntare su una politica fiscale che sposti il carico sull’evasione e sulle rendite». Dalla sua personale agenda di governo, il segretario pesca poi una serie di proposte: cittadinanza italiana ai figli di immigrati che studiano, riconoscimento delle unioni gay, riduzione degli stipendi dei parlamentari («Non c’è ragione che guadagnino più di un sindaco»), ineleggibilità  di corrotti e corruttori ed eliminazione di situazioni come quella che consentono «all’Eni o alla Fiat di prendere miliardi di fondi dalle banche senza andare dal notaio, mentre una famiglia per avere un mutuo per la casa deve spendere qualche migliaia di euro in pratiche».
Tra applausi e coretti, il segretario si assume pubblicamente l’impegno di essere «il garante del rinnovamento del partito», cavallo di battaglia di Renzi. Terreno minato e parole pesate con il bilancino: «Dal prossimo anno le responsabilità  saranno ampiamente messe sulle spalle delle nuove generazioni, ma sempre nel rispetto di chi ci ha portato fin qui».
Quindi un colpetto a Grillo, mai citato: «Ora si accorgono che la libertà  della Rete può nascondere meccanismi di controllo: basta con i pifferai, facciano anche loro le primarie». L’ultimo flash da Reggio è un Bersani sorridente con in braccio Ambra, bimba ghanese di 4 anni, che lo bacia, gli offre fiori e scappa tra le braccia della mamma.


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