D’Alema resiste all’effetto Veltroni “Non sono un oligarca da cacciare mi candido solo se il partito vuole”
NAPOLI — Dopo la rinuncia a candidarsi al Parlamento di Walter Veltroni, ieri Massimo D’Alema ha annunciato: «La mia disposizione è a non candidarmi. Semmai posso farlo se il Pd me lo chiede». Il presidente del Copasir ha aggiunto: «Non sono alla ricerca di un posto di lavoro ma sono disposto a dare una mano, altrimenti amici come prima». Sull’Unità , 700 esponenti politici e della società civile meridionale hanno pubblicato un appello “pro-D’Alema”.
«Avevo detto a Bersani che non volevo candidarmi, ma ora difendo la dignità di una storia». Massimo D’Alema, il giorno dopo l’addio al seggio annunciato da Walter Veltroni, non scioglie fino in fondo la sua “prognosi” e non ci sta a lasciar passare «l’idea che ci sia un gruppo di oligarchi che si devono togliere di mezzo ». Anzi, avverte: «Quell’idea è un’evidente distorsione e denota l’abilità dei nostri competitori a mettere al centro l’eliminazione della classe dirigente del Pd. Non sono alla ricerca di un posto di lavoro ma sono disposto a dare una mano se lo si ritiene necessario, sennò amici come prima».
Per il presidente del Copasir, dunque, non è ancora il tempo di una decisione definitiva. In tour ieri tra Napoli, Salerno e Caserta, ufficialmente per la presentazione di alcuni libri sui democratici, D’Alema si ritrova accanto ad un vecchio compagno come l’ex senatore Umberto Ranieri, già pupillo del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. E con lieve imbarazzo di D’Alema, Ranieri punta il suo intervento proprio sul «complessivo logoramento della leadership del Pd», sul «successo del fenomeno Renzi, che con tutti i limiti della sua biografia e cultura politica, è vissuto comunque come la liberazione da un’oligarchia ».
Per D’Alema invece c’è solo un punto di partenza. «La mia disposizione è a non candidarmi — sottolinea l’ex premier — Semmai posso candidarmi se il partito mi chiede di farlo». Parole da cui non è lecito trarre conclusioni, perché D’Alema ammette, allo stesso tempo, la volontà di continuare a esercitare la sua rappresentanza,
specie per «la sfida del Mezzogiorno ». «Le ragioni del mio impegno politico sono rafforzate dalla solidarietà di tante personalità del sud», aggiunge. Il riferimento è all’appello pubblicato ieri su l’Unità , per una sua candidatura alle politiche, sotto il titolo «Basta divisioni e personalismi. Parta dal sud la sfida per il governo. Per noi D’Alema è punto di riferimento ». Un manifesto firmato da circa 600 nomi tra sindaci, assessori, intellettuali, imprenditori (comprese aziende di calzature, carne e olii) nonché militanti di Puglia, Calabria, Campania, Basilicata e Sicilia.
Un elenco così lungo che inciampa in qualche imprecisione: il sindaco di Rionero in Vulture, Antonio Placido, smentisce: «Mai firmato per D’Alema, sono inequivocabilmente accanto a Vendola». Così anche il primo cittadino di Avellino Giuseppe Galasso: «Lo stimo ma non ho mai aderito a quell’appello». In compenso ci sono centinaia di docenti universitari e sindaci in carica che si oppongono all’idea della sua “rottamazione” dalla liste.
Si fa ancora più teso, dunque, il braccio di ferro a distanza con Matteo Renzi. E se il sindaco di Firenze prevede: «Bene la scelta di Veltroni: sono sicuro che non sarà l’unico a fare questo passo», D’Alema replica con l’aspra chiarezza di sempre. «Nel momento in cui torneranno in Parlamento Berlusconi, Cicchitto, Dell’Utri, De Gregorio e così via, pensare che il rinnovamento consista nel togliere di mezzo il gruppo dirigente del Pd mi sembra una visione faziosa», puntualizza.
E un assist per l’ex premier D’Alema arriva da un altro ex presidente del Consiglio, Giuliano Amato, che punta al più concreto aspetto del consenso. «D’Alema è un uomo di grande intelligenza e capacità di leadership, ma, come molti sanno, desta alcune antipatie. Può essere ancora utile, ma si può stare anche fuori dalla politica. Non c’è dubbio che dove D’Alema si presenta prende voti».
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