Intesa-Unicredit, idea di Palenzona contro l’assalto dei colossi esteri
L’idea sarebbe di Fabrizio Palenzona, dominus dell’ente Crt (tra i primi soci a Piazza Cordusio), e avrebbe per principali interlocutori le fondazioni di Ca’ de Sass. Anche le vigilanze bancarie, italiana ed europea, sarebbero al corrente dei problemi e dei possibili rimedi. Simili fautori suggeriscono di circostanziare la smentita di Unicredit e la freddezza mostrata dalla Borsa.
Unicredit ieri ha rigettato ogni ruolo o verosimiglianza delle indiscrezioni che rimbalzano tra le stanze – semivuote causa feste del potere finanziario. Negli ambienti di Piazza Cordusio, le ipotesi di fusione con Intesa Sanpaolo dopo lo scorporo della rete italiana vengono bollate «fantasie che non vale neanche la pena prendere in considerazione». L’umore del management pare quello di chi, nella festa dei Santi, ha aperto il Corriere della Sera e si è trovato, in prima pagina, sposato al suo concorrente italiano, d’emblée. «Una cosa fuori da ogni senso reale, industriale e finanziario – si aggiunge – destinata a creare incertezza e sconcerto tra i dipendenti dei due gruppi». Anche a Piazza Affari, dove pure le banche salivano, Unicredit ha guadagnato lo 0,23%, Intesa Sanpaolo ha perso lo 0,62%. Tra analisti e investitori prevale lo scetticismo sull’ipotesi di fondere i maggiori gruppi del paese, previo scorporo delle attività italiane di Unicredit (anche per motivi antitrust, dato che in tutti i segmenti il polo nascente eccederebbe di molto le soglie del 30% di concentrazione). «Su quell’idea non punterei neanche un euro – dice un analista tra i più esperti – non è più aria di grandi fusioni bancarie nel mondo: troppo rischio sistemico, troppo capitale richiesto alle istituzioni too big to fail (Sifi), troppe ricadute antitrust in Italia».
Il presupposto di partenza però rimane, ineccepibile: la sopraggiunta debolezza di alcuni snodi del capitalismo domestico esorta le teste pensanti a cullare un riassetto
del sistema. Forse nei prossimi sei mesi l’Italia finanziaria sarà protetta, paradossalmente, dall’incertezza preelettorale, che scoraggia potenziali investitori esteri. Ma una volta insediato il nuovo governo potrebbe aprirsi una finestra propizia. Con i valori di Piazza Affari ancora depressi -Unicredit capitalizza 20,4 miliardi, contro i 20,5 di Intesa Sanpaolo, quasi 20 di Generali e solo 4 di Mediobanca – non pare impensabile un affondo straniero (Santander vale 59 miliardi, Bnp Paribas 49, Deutsche Bank 33). Ma per “difendersi” e creare il campione nazionale bancario andranno superati molti scogli. Primo tra tutti convincere l’85% di investitori stranieri nella “prima banca veramente europea” (guidati da emiri di Aabar, libici, russi di Pamplona) che è un bene ripiegare sull’Italia, dove regna la recessione e dove in agosto la banca ha emesso a 310 punti base sopra l’Euribor lo stesso bond che in Germania le costa 22 punti
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