Parigi non vale una tripla A

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La settimana è iniziata lunedì notte con il downgrading del rating della Francia da parte di Moody’s, che, dopo un’analoga decisione presa da Standard&Poor’s il 13 gennaio scorso, ha degradato Parigi da AAA a AA1. Ieri sera i 17 ministri delle finanze della zona euro si sono riuniti con la direttrice generale dell’Fmi, Christine Lagarde, per cercare di trovare una soluzione per la Grecia che, dopo sei anni di recessione e due piani di aiuti, continua ad affossarsi nella crisi e nel disastro sociale. Giovedì e venerdì il consiglio dei 27 dell’Unione europea dovrà  cercare un’intesa sul bilancio per il periodo 2014-2020 (dopo aver trovato un accordo per i buchi di quello di quest’anno e per quello del 2013), in un ambiente dove il fronte dei tirchi, guidati dalla Gran Bretagna sempre più euroscettica e in preda a fantasie di abbandono dell’Unione, intendono ridurre drasticamente i contributi. In altri termini, l’euro è di nuovo in mezzo alla tempesta e la fine del tunnel della crisi non è ancora in vista.
La Francia cade ancora dal podio
Per il governo attuale, Moody’s ha punito la «gestione passata», cioè quella degli anni Sarkozy. Solo Fitch (peraltro controllata al 50% da un uomo d’affari francese) dà  piena fiducia alla Francia tra le grandi agenzie di rating. Ieri, non ci sono stati effetti notevoli sui tassi di interesse che Parigi paga sul debito, solo un leggero fremito (per le obbligazioni a dieci anni, i tassi sono passati da 2,07% a 2,09%, mentre la Germania continua a pagare solo l’1,35%). Bisognerà  fare attenzione nei prossimi giorni, visto che molti investitori e fondi pensione sono obbligati ad investire in prodotti AAA (ma ormai solo Germania, Finlandia e Olanda hanno il rating AAA, mentre in occidente il voto AA1 è diventato la norma per i migliori). Moody’s ha però insistito sulle «riforme»: in particolare, tanto per cambiare, sulle «rigidità  durevoli» nel mercato del lavoro. In Francia ci sarebbe «una protezione importante per i contratti a durata indeterminata» e i «licenziamenti» sono «particolarmente difficili»: due conquiste da cancellare, dunque, per mettersi al passo, come del resto ha ampiamente suggerito The Economist la scorsa settimana (la Francia «bomba a orologeria d’Europa»), ripreso ieri da Die Welt. Hollande è messo con le spalle al muro per convincerlo ad attuare in fretta il «patto di competitività » promesso ai mercati (20 miliardi di sgravi sui contributi, che significa un calo del costo del lavoro del 2,7%), ma qanche per spingerlo ad andare oltre, imponendo quello che resta l’obiettivo principale del «risanamento»: la distruzione dei diritti del lavoro e delle protezione del welfare.
Gli aiuti alla Grecia in ballo
Moody’s mette in guardia sull’impatto potenziale delle crisi in Europa sulle finanze pubbliche francesi, legando Parigi all’annosa questione greca. Dalla riunione di ieri sera dovrebbe uscire al massimo un accordo di principio sul versamento di una nuova tranche di aiuti – tra i 31 e i 45 miliardi – non prima del 5 dicembre prossimo, per evitare il fallimento del paese. La Grecia ha avuto due piani di aiuti, ma dal giugno scorso il secondo piano di salvataggio è congelato. Atene è accusata di non aver attuato le riforme promesse. Ma malgrado i piani di aiuti e la più grossa ristrutturazione del debito (un hair cut per i creditori privati del 53%, 107 miliardi cancellati), il paese è sempre in recessione, il debito pubblico dovrebbe salire ancora e sfiorare il 200% nel 2015. Cosa fare allora? L’Fmi si rifiuta di sbloccare la sua parte di tranche se non c’è un calendario preciso di rientro del debito al 120% entro il 2020. Per questo l’Fmi fa pressione sugli stati creditori europei perché accettino una ristrutturazione del debito greco, cioè accettino di perdere dei soldi (la Bce, che detiene 50 miliardi di debito greco, per statuto non può cancellarlo). Ma Germania, Olanda e Finlandia non ne vogliono sentir parlare (anche perché devono far approvare la perdita dai rispettivi parlamenti, missione praticamente impossibile). L’Eurogruppo preferirebbe dare altri due anni alla Grecia, fino al 2022, per ridurre il debito al 120%. Wolfang Schà¤uble, ministro delle finanze tedesco, chiede che la Grecia versi i soldi del rimborso in un conto «sotto sequestro», che significa mettere il paese completamente sotto tutela. Questo per evitare un terzo piano di aiuti ad Atene, che né i paesi della zona euro né l’Fmi vogliono finanziare. Molto probabilmente per evitare il fallimento della Grecia si arriverà  a una ristrutturazione del debito, ma non prima delle elezioni tedesche del settembre 2013. Con urgenza, invece, si profila un piano di aiuti per Cipro (sui 15 miliardi di euro, più della metà  per ricapitalizzare le banche).
Vertice del 22-23 novembre
La tensione cresce in vista anche del Consiglio straordinario di fine settimana, dove verrà  deciso il quadro delle finanze della Ue per il periodo 2014-2020. Le proposte, su sette anni, vanno da 880 miliardi (Gran Bretagna) a 1090 miliardi (parlamento europeo), cioè un po’ sotto e un po’ sopra l’1% del pil europeo (960 miliardi, livello proposto da Francia e Germania, mentre il presidente del Consiglio, Van Rompuy, avanza la cifra di 993 miliardi).


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