Gli indios del Maracanà£, con l’arco contro la polizia

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Il «Museu do Indio» è una bella palazzina a due piani di fine Ottocento, di stile vagamente coloniale. Per gli standard del nuovo mondo è un edificio storico, anche se le Belle arti carioca non lo includono tra i monumenti protetti e sta cadendo letteralmente a pezzi. Può dunque essere abbattuto, ed è di proprietà  dello Stato. Un tempo ospitava proprio il museo nazionale brasiliano sulla cultura e le tradizioni indigene, poi nel 1978 si trovò una nuova sede più ampia in città  e l’edificio venne abbandonato. Sei anni fa, infine, la palazzina venne occupata da una dozzina di famiglie di origini indie arrivate a Rio in cerca di un futuro migliore. Che da allora non si sono più mosse da lì.
Maracanà£, a Rio, è il nome di un quartiere abbastanza centrale, densamente popolato e di classe media. Attorno allo stadio «Jornalista Mà¡rio Filho» — questo è il suo nome ufficiale, come Giuseppe Meazza sta a San Siro — la città  è cresciuta senza controllo. Ci sono strade a tre corsie, viadotti, una scuola, benzinai, la palazzina degli indios e molti condomini residenziali. Dal 1950 quando fu costruito lo stadio, fino ad oggi, il problema di questo caos urbano senza pianificazione non è stato mai affrontato. Dopotutto a Rio nessuno o quasi usa l’automobile per andare alla partita, il Maracan࣠è vicino a una stazione di metrò e alle linee degli autobus, e persino dalle favelas dove vivono i tifosi più scatenati del Flamengo o del Vasco si scende a piedi fino allo stadio. Gli indios che nel 2007 decisero di creare la «tribù Maracanࣻ, con l’idea di unire la necessità  di un tetto gratuito alla creazione di un centro culturale, si trovano ora davanti a una necessità  inderogabile, secondo le autorità  pubbliche. Per i Mondiali lo stadio verrà  privatizzato, e attorno dovrebbe sorgere un centro commerciale con tanto di parcheggio. Un bieco interesse privato, ribattono gli indios e gli oppositori alla demolizione della palazzina. «No, ce lo chiede la Fifa, serve spazio di mobilità  e di sicurezza attorno allo stadio. E poi il palazzo non ha alcun valore storico», disse qualche tempo fa il governatore Sergio Cabral. Per poi farsi smentire dalle autorità  del calcio mondiale: no, non è una nostra richiesta.
L’iter dello sgombero, intanto, va avanti. Tutto è in ritardo a Rio per i Mondiali e le Olimpiadi del 2016, e il Maracan࣠è un tema sensibile, per ovvi motivi di immagine. Sabato il governo ha mandato sessanta poliziotti, quelli del battaglione da guerra usato contro il narcotraffico, a circondare la casa degli indios. Appena con l’obiettivo di intimorirli, visto che l’ordine di sgombero non è ancora arrivato dal Tribunale. Gli abitanti hanno risposto tirando fuori dagli armadi archi, frecce e abiti tradizionali. La loro battaglia raccoglie simpatie tra chi non vuole la trasfigurazione dell’area attorno allo stadio. «Cos’è meglio per un turista? Vedere una palazzina coloniale o un fast food quanto esce dallo stadio?», ha protestato il deputato Marcelo Freixo. Una scuola media nelle vicinanze si è unita alla resistenza: anch’essa dovrebbe essere abbattuta per la costruzione dei campi di riscaldamento dei giocatori. Vari militanti di movimenti sociali hanno piazzato le loro tende nei giardini del «museu do indio» in segno di solidarietà .
Dopo lo spiegamento delle teste di cuoio, considerato eccessivo, adesso il governo di Rio sta rallentando. Prima di proseguire con l’istanza di sgombero ha deciso di fare un censimento delle 23 famiglie che vivono nella palazzina, anche per trovar loro una nuova casa.


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