«Assad ha usato i gas a Homs» Un dispaccio Usa rilancia i sospetti

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Davvero la dittatura siriana è ricorsa alle armi chimiche contro la popolazione in rivolta? La domanda chiave, che potrebbe innescare la decisione americana di intervenire militarmente contro il regime di Bashar Assad, torna all’ordine del giorno dopo che Foreign Policy nell’ultima edizione rilancia l’accusa che gas venefici siano stati sparati dai tank lealisti contro i manifestanti il 23 dicembre scorso nella città  di Homs. La rivista americana riprende un dispaccio diplomatico compilato dal consolato Usa a Istanbul in cui si solleva il sospetto che in quell’occasione i militari avrebbero superato la reiterata «linee rossa» tracciata l’anno scorso da Obama delineante le condizioni che potrebbero condurre ad un’azione in Siria. Nel dispaccio, arrivato la settimana scorsa a Washington, lo stesso console a Istanbul Scott Frederic Kilner afferma con ragionevole sicurezza che «diverse prove» lasciano credere che a Homs «sia stata utilizzata una forma di gas letale».
La comunità  internazionale era in parte distratta dalle feste natalizie quando apparvero le prime informazioni sul caso. La tv araba Al Jazeera mandò in onda filmati di giovani sdraiati sui lettini nell’ospedale di Homs, che vomitavano, tossivano e mostravano evidenti difficoltà  respiratorie. L’accusa dell’opposizione armata fu subito che i lealisti avevano sparato il gas nervino tipo «Sarin». Si parlò di «numerosi morti e diversi feriti». Ora un neurologo dell’ospedale di Homs, il dottor Nashwan Abu Abdo, specifica che i morti sarebbero stati almeno cinque: «Erano armi chimiche, non lacrimogeni, ne siamo certi. Un lacrimogeno non uccide cinque persone». Il sospetto di Foreign Policy è che in quel caso sia stato utilizzato per la prima volta l’agente «3-quinuclidinyl benzilate» (Bz), meno forte del Sarin, ma letale. Le persone più prossime alla dispersione del gas sarebbero decedute in pochi minuti. I feriti avrebbero mostrato sintomi meno gravi di vomito, nausea, dolori intestinali.
Ma nelle ultime ore Washington ha cercato di gettare acqua sul fuoco. «Le informazioni apparse sui media sul presunto uso di armi chimiche in Siria non appaiono coerenti con quella che riteniamo essere la realtà  del programma di armamenti chimici siriani», ha dichiarato Tommy Vietor, un portavoce della Casa Bianca per gli affari militari. Si ribadisce tuttavia che, nel caso il regime commettesse «l’errore tragico» di ricorrere ai propri arsenali non convenzionali, o fallisse nel mantenerli in sicurezza, Assad ne sarebbe considerato responsabile. Una formula diplomatica che lascia spazio all’intervento militare. Damasco negli ultimi tempi starebbe prendendo precauzioni per evitare che i propri arsenali chimici finiscano nelle mani delle brigate ribelli. Ma le preoccupazioni crescono. Israele e Turchia seguono con attenzione gli sviluppi. La Giordania annuncia di aver preso «misure precauzionali» al confine.


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