“Diamo più di quanto riceviamo” Roma rifà  i conti con Bruxelles

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DIAMO più di quanto riceviamo. In altri termini, l’Italia è un “contributore netto” nei confronti dell’Unione europea. Una situazione in cui il nostro Paese «si trova ormai da tempo». Ma che negli ultimi anni, secondo l’analisi della Corte dei Conti, ha subito «un sensibile aggravamento ». Basta guardare ai dati del 2011, gli ultimi disponibili: 16 miliardi versati a Bruxelles, «il massimo storico del settennio 2005-2011», ma solo 9,6 rientrati. Una notevole differenza, pari a ben 6 miliardi e mezzo. Detto in termini percentuali, gli esborsi sono saliti del 4,9% nel 2011 sull’anno prima. Ma i benefici di appena l’1,2%. Quattro punti di “spread”, mai così ampio, che arrivano dritti sul tavolo del Consiglio europeo del 7-8 febbraio, dove si discuterà  del bilancio comunitario 2014-2020, dopo il flop di fine novembre. E del contributo di ciascuno alla “cassa comune”.
LO SBILANCIO
Troppo alto quello dell’Italia, sottolinea anche la Corte dei Conti, che in cinque anni (2007-2011) ha recuperato solo 50 miliardi dei quasi 76 in volo verso l’Europa. In pratica, appena due terzi dei “sacrifici” si sono trasformati in vantaggi, al pari della Francia (94 miliardi di uscite e 68 di entrate). Mentre la Germania ha rivisto poco più della metà  di quanto versato (59 miliardi a fronte di 111). Nel 2011 Roma era terza nella classifica dei “contributori” con 16 miliardi, dopo Berlino (23) e Parigi (20). Ma solo quinta in quella dei “ricevitori” con 9,6 miliardi, dopo Polonia (14,4), Spagna (13,6) e le solite Francia (13,1) e Germania (12,1).
LO “SCONTO” A LONDRA
Il «notevole incremento» dell’apporto italiano alla Ue e la «notevole contrazione» delle risorse messe a disposizione del nostro Paese, dicono i giudici contabili, hanno fatto sì che tra 2007 e 2011 la forchetta tra uscite e entrate sia più che raddoppiata: da 3 a 6 miliardi e mezzo (5,9 nei calcoli della Commissione che esclude dazi e costi amministrativi, come gli stipendi dei funzionari). Curiosamente, dei 76 miliardi italiani a Bruxelles ben 5 sono andati al Regno Unito, grazie al vecchio accordo di Fontainebleau del 1984, in base al quale la Thatcher si assicurò un ritorno dei due terzi del contributo di Londra all’Europa. Uno sconto che ancora ricade sulle spalle degli altri e che per l’Italia è balzato nel 2011 del 16,6% (717 milioni contro i 615 del 2010), con «un’inversione della favorevole tendenza rilevata nel precedente biennio» a decrescere, chiosa la Corte.
PIL E IVA
Il cuore dei versamenti a Bruxelles è però tutto nella percentuale di Pil che l’Italia mette sul piatto e nella parte comunitaria dell’Iva: in tutto 13 miliardi e mezzo sui 16 totali nel 2011, record «storico ». In cambio, fondi strutturali per la crescita (che l’Italia spende poco e male, però), sostegni all’agricoltura, alla pesca, all’ambiente, denari per le calamità , programmi per la ricerca e l’innovazione (l’Italia è al quarto posto), progetti per gli studenti (Erasmus e simili). Benché, segnala infine la Corte dei Conti, «il settore relativo alla politica di “coesione”» sia scivolato dell’8,8% nel 2011, fermandosi a 2,3 miliardi.


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