Bersani chiede il via libera al Pd

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ROMA — Bersani si gioca tutto, il suo destino politico e il futuro del Pd. Rivolgendosi oggi alla sua direzione e, al tempo stesso, al Parlamento, il candidato premier spronerà  ancora una volta Grillo ad «assumersi le sue responsabilità ». Rilancerà  l’agenda «da combattimento» declinando con forza gli otto punti che escludono Berlusconi da ogni ipotesi di accordo: conflitto di interessi, inasprimento delle norme contro la corruzione, falso in bilancio, autoriciclaggio… Riforme pensate come un’esca per Grillo e un pugno di sabbia negli occhi del Cavaliere.
Ma i toni del segretario davanti al «parlamentino» — a porte chiuse, in diretta streaming sul sito del Pd — suoneranno nuovi, se non altro per gli accenti. La sfida sarà  proposta in positivo. Bersani starà  attento a non provocare quei dirigenti che si muovono in sintonia con il Quirinale ed eviterà  di indicare le elezioni anticipate come unica subordinata. Niente aut—aut dunque, a differenza di quanto ha chiesto Matteo Orfini dicendo al Foglio che non spetta al Colle dare la linea al Pd, perché solo così potrà  uscire dalla riunione con quel «mandato pieno» che, lui ne è convinto, gli consentirà  di salire al Colle per chiedere l’incarico.
Bersani sa quanto sia stretta la strada per ottenere il via libera del capo dello Stato e la fiducia del Parlamento, ma il segretario non vede alternative davanti a sé: «La via di un governissimo non è certo più facile…». Bersani pensa che l’abbraccio con il Pdl lascerebbe agonizzante il Pd. Il lungo pranzo di Renzi da Monti — che domani incontrerà  Bersani e venerdì Berlusconi per parlare di Europa, mentre Grillo non ha risposto alla convocazione — ha fatto suonare l’allarme rosso.
Per smussare gli spigoli della posizione bersaniana c’è voluta la faticosa mediazione di Letta, Franceschini e Veltroni, che hanno lavorato a convincere il leader a compiere un passo alla volta, sgombrando il campo dagli umori bellicosi dei «giovani turchi». Magari anche Bersani pensa, come Orfini e Fassina, che «o c’è Grillo o c’è il voto», ma il leader non lo dirà . Non oggi. Sull’ex premier, però, Bersani sarà  irremovibile. «Mai un governo con Berlusconi», conferma il niet Nico Stumpo. Il problema è che adesso Vendola comincia a pensare che Bersani possa non farcela e, con i suoi, ragiona sul piano B: un governo guidato da un outsider come Fabrizio Barca.
Se pure la direzione filerà  liscia, i maldipancia sono forti. Marco Follini non ci sarà : «Contesto al Pd l’errore politico di civettare con Grillo». Parole che suonano come una progressiva presa di distanza dal partito. Intanto nei rapporti con il M5S si riparte daccapo. Grillo e il capogruppo al Senato Vito Crimi hanno smentito di aver aperto a una soluzione: «Il M5S non darà  la fiducia a un governo tecnico, né lo ha mai detto». Il testo della smentita compare sotto l’immagine di un Dodo, animale preistorico estinto, evidente metafora dei partiti, dati per moribondi. Crimi nega di essere stato ambiguo: «L’unica soluzione che proponiamo è un governo del M5S». E la capogruppo alla Camera, Roberta Lombardi, nega di aver esaltato il fascismo delle origini: «Mi riferivo al programma del 1919…».


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