Dai Tango bond a Lehman e Parmalat La maledizione dei fine settimana

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Che siano nodi che vengono al pettine come con la Parmalat il 6 e 7 dicembre del 2003 o riunioni più o meno carbonare per tentare di evitare l’estrema unzione come avvenne con Lehman Brothers il 13-14 settembre del 2008, la complessa ingegneria delle crisi sembra non poter fare a meno dei fine settimana. Come se quella manciata di ore prima dell’inizio delle contrattazioni o dell’apertura degli sportelli potesse fare da cuscinetto emotivo, disidratare il panico, ricordare agli uomini che è la ragione e non le emozioni a fare la differenza con il mondo animale. Sarebbe veramente ingenuo pensare che sia un caso che i ciprioti abbiano scoperto di sabato mattina, il 16 marzo, che dai propri conti correnti poteva essere fatto, obtorto collo, un cospicuo prelievo. Pericolo scampato. Ma la storia si è ripetuta in questo fine settimana in cui è arrivata la decisione di «punire» solo i depositi sopra i 100 mila euro. Oggi per i malcapitati non ci sarà  nulla da fare. Di incubi da week end, in cui non c’è esorcismo che tenga per prelevare o vendere a chicchessia azioni e bond, in Italia ce ne sono stati tanti. Anzi, possiamo dire senza ombra di dubbio troppi considerando la concentrazione nell’ultima decade: difficile togliersi dalla mente quello della Parmalat. È venerdì 5 dicembre 2003, a borse chiuse, quando è atteso un bonifico dal fondo Epicurum che con i suoi 590 milioni di euro avrebbe dovuto evitare agilmente (così si pensava allora) il crac. Il lunedì scadeva il prestito da 150 milioni e il mancato rimborso avrebbe scatenato il panico. È proprio in quel fine settimana che scoppia il giallo Epicurum: la crisi esplode e la Parmalat tracolla sotto il peso di un crac da 14 miliardi di euro (solo in seguito si scoprirà  che i documenti di quei fondi erano stati rocambolescamente falsificati, fatti con il cut & copy del programma Microsoft Word). Due anni prima i risparmiatori italiani avevano dovuto mandare giù un altro week end di paura: Argentina, Buenos Aires. Dopo appena tre giorni di incarico il presidente Ramon Puerta deve abbandonare l’incarico. L’esasperazione delle persone si respira in Plaza de Mayo. È domenica 23 dicembre 2001 quando il nuovo presidente peronista Rodriguez Saà , poche ore dopo aver giurato, dichiara al mondo che l’Argentina non ripagherà  100 miliardi di euro di debito sovrano. Il Paese dichiara default: il lunedì le obbligazioni con quello che è diventato un marchio di fabbrica infamante (Tango bond) crollano sotto il 20% del loro valore e, parallelamente, la fine del cambio fisso tra pesos e dollaro americano lancia gli argentini in rabbiose quanto inutili file davanti alle proprie banche. Saà  dovrà  fuggire in elicottero dalla Casa Rosada sette giorni dopo per lasciare il timone a Eduardo Camaà±o, vero recordman da Guinness: governerà  solo l’1 e il 2 gennaio 2002.
Di fine settimana al cardiopalma sul salvataggio della moneta unica il 2012 ne ha avuti diversi e quello appena chiuso entrerà  di diritto in questa cronistoria. Ma il manuale non potrebbe essere completo senza un’altra iconografia delle crisi del week end. Quella degli ex dipendenti Lehman Brothers che il lunedì 15 settembre 2008 escono dalla banca appena fallita apparentemente quasi rilassati, in una processione di scatoloni: il 13 e il 14 settembre moriva in una riunione tra i principali banchieri e il governatore della Federal Reserve il mito del «too big to fail», troppo grandi per fallire. Il governo federale si era rifiutato di garantire l’acquirente e 158 anni di storia finivano.
In un altro tranquillo week end di paura.
Massimo Sideri


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