Gli esodati della sanità 

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A FRANCESCO mancano i denti per sorridere. «Ero ingegnere, avevo tutto. Poi le cose hanno preso una brutta piega, ho perso il lavoro e i denti. Avevo bisogno di cure, anche per una congiuntivite cronica. Ma dal giorno alla notte, non so come, mi sono ritrovato espulso dal sistema sanitario nazionale». Sessant’anni, ferrarese e un reddito di 38 mila euro che lo ha incastrato in una terra di nessuno. Troppo “giovane” e “ricco” per essere esentato dal ticket. Figuriamoci se ha i soldi per rimborsare i 750 euro della protesi dentale. «Ho provato a chiedere un prestito in banca, invano. E senza denti non posso nemmeno andare ai colloqui di lavoro». Ormai conserva la tessera sanitaria nel portafoglio solo per abitudine. Giusto per ricordarsi di tanto in tanto che la sua salute una volta era tutelata dallo Stato. Che c’era un tempo in cui anche per lui l’articolo 32 della Costituzione aveva un qualche senso. La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo. «No, guardi, lasci perdere… ormai non è più così». Nel 2012 si stima che 1,8 milioni di cittadini italiani abbiano abbandonato il sistema sanitario pubblico, rinunciando a esami, visite, analisi. Non era mai successo prima.
VIA DALLA SANITà€
Non esistono solo gli esodati della pensione. Ci sono anche quelli del sistema sanitario pubblico, espulsi per quei ticket diventati all’improvviso troppo onerosi. Come Francesco, che dopo una sfilza di no e di porte sbattute in faccia, è stato costretto a rivolgersi al poliambu-latorio di Emergency di Marghera, dove ha avuto la fortuna di essere curato gratis. Un’eccezione. In Italia infatti ci sono una valanga di persone per le quali i 45 euro del ticket per farsi vedere da un’oculista o i 65 euro per sottoporsi a una ecografia sono diventati troppi.
Gli italiani scappano dagli ambulatori, oppure sono gli ambulatori a scappare da loro. Questa tendenza si era già  vista nel 2011, ma lo scorso anno si è manifestata in tutta la sua drammaticità . Sono i dati sui ticket sanitari a raccontarlo. Nel 2012, tra attività  pubblica e convenzionata, l’incasso per le Regioni è stato di 2 miliardi e 285 milioni, cioè 549 milioni in meno di quanto era previsto. E siccome in media un italiano spende 150 euro all’anno in ticket, significa che 3,6 milioni di persone hanno
rinunciato a pagarli. Qualcuno si è rivolto alle cliniche private, qualcun altro è entrato tra gli esenti per reddito ed età  (guadagnano meno di 36 mila euro e hanno più di 65 anni). Ma la metà  di loro, 1,8 milioni, hanno proprio rinunciato a curarsi perché pur non essendo esenti non hanno i soldi per pagarsi il ticket. Esodati. Si tratta di numeri, dietro i quali ci sono i malati e le loro storie. «I medici di medicina generale – denuncia Luca Coletto, assessore alla Salute del Veneto – mi dicono che i loro assistiti non hanno soldi. O mangiano o si curano».
Contemporaneamente, in un effetto perverso, i bilanci delle Regioni, già  fiaccati dalla spending review rischiano di finire in rosso anche per colpa dei ticket non riscossi. Le Asl italiane vedono un calo della domanda di prestazioni specialistiche del 5-10 per cento, ma non possono certo eliminare i servizi. Eppure non più tardi del 2000 l’Italia era al secondo posto nel mondo per copertura assistenziale, seconda solo alla Francia. Lo sosteneva l’Organizzazione mondiale della sanità . Come siamo arrivati a questo punto? A chi si rivolge chi ha abbandonato le strutture pubbliche? Cerca di risparmiare o aspettare meno prima di consultare il medico?
LA CRISI DEL SISTEMA SANITARIO
Per la prima volta nel 2013 il Fondo sanitario nazionale, la grande torta del finanziamento statale divisa equamente tra le Regioni in base al numero dei cittadini e alla loro età , è diminuito. Era di 107,8 miliardi lo scorso anno, è sceso a 106,8. Un miliardo tondo in meno. Un taglio pesantissimo, più profondo di quanto hanno fatto gli altri paesi europei. «Quest’anno lo Stato nemmeno è riuscito a garantire l’adeguamento all’inflazione», osserva Amerigo Cicchetti, direttore dell’Alta Scuola di economia e management dei sistemi sanitari. Tutte le Regioni si sono ritrovate con meno soldi, obbligate a un taglio lineare del 5 per cento delle spese sostenute dalle Asl. «Il risultato – sostiene ancora Cicchetti – è stato che invece degli sprechi, sono diminuiti i servizi. Lazio e Abruzzo, per esempio, hanno ridotto i piani vaccinali e i programmi di screening sulla popolazione. Sono aumentati i ticket, si è ridotta l’assistenza domiciliare agli anziani. Scelta molto miope, tra qualche anno avremo più malati di adesso e quindi più spese da sostenere. Invece di combattere gli sprechi, si è deciso di diminuire l’offerta». Da qui al collasso del sistema, il passo è breve. Sarà  impossibile garantire gli stessi livelli con le casse dello Stato sempre più vuote.
Sostiene Coletto che «la metà  di quelli che non si rivolgono più alle strutture pubbliche lo fa perché non se lo può permettere. Quindi non si cura. Del resto il sistema dei ticket così com’è non funziona». Una ricerca interna commissionata da tutte le Regioni per spiegare cosa sta succedendo negli ambulatori, si conclude così: «La riduzione è dovuta ad un effetto generale della crisi economica e della scarsità  di risorse in sanità  ed è probabilmente indotta più dall’offerta che dalla domanda, dal probabile trasferimento verso gli acquisti privati dovuto alla popolazione benestante, dall’allontanamento dalle prestazioni per soggetti per i quali il pagamento del ticket creava delle difficoltà ». Il secondo punto fa luce su un altro effetto importante
della tassazione sempre più alta. Ormai in tutte le Regioni ci sono privati sanitari che offrono visite, esami e analisi a prezzi concorrenziali con quelli delle Asl, in certi casi inferiori. E così si finisce per scegliere queste strutture, dove la risonanza costa 80-100 euro, poco di più del ticket, o dove la visita cardiologica te la fanno con 35 euro, cioè come nel pubblico. E in più i tempi di attesa sono sensibilmente ridotti. Nella rossa Toscana, che ha fatto del sistema sanitario pubblico una bandiera, le associazioni di volontari Misericordie e Pubbliche Assistenze fanno ormai concorrenza agli ospedali con super ambulatori e radiologie che offrono prestazioni in tempo reale. La mattina si telefona per fissare l’ecografia, il pomeriggio si trova posto. Esiste una possibilità  di ottenere un appuntamento senza pagare niente, anche se non si rientra nella categoria degli esenti?
L’ULTIMA SPIAGGIA
C’è chi cerca l’ultima spiaggia, che paradossalmente ha un nome che evoca paesi in guerra, crisi umanitarie, terzo mondo. Gli ospedali di Emergency. Ce ne sono due in Italia, a Marghera e a Palermo. Un terzo lo apriranno a Polistena, Reggio Calabria. E ci sono due ambulatori mobili che girano l’Italia. Già  questo dovrebbe dire qualcosa di come sta il sistema sanitario nazionale. Nella struttura veneta, in affitto a canone agevolato per grazia del Comune, ogni giorno, dalle 9 alle 18, c’è la fila davanti alle porte dello studio pediatrico, dell’oculista, del ginecologo. Per non parlare dei due ambulatori di odontoiatria, sempre affollati il giovedì. Fanno quello che possono. Moltissimi extracomunitari, molti senza tetto. E poi gli esodati della sanità . «Il venti per cento dei nostri pazienti è cittadino italiano e ha in tasca la tessera sanitaria», spiega Mimmo Risica, cardiologo e responsabile della Medical Division di Emergency. Dal 2006 ad oggi hanno curato 20 mila pazienti, erogando più di 100 mila prestazioni gratuitamente o dietro rimborso nel caso di protesi o interventi particolarmente onerosi. «Che comunque è sempre inferiore rispetto a quello dovuto allo Stato. Per una protesi dentaria di ottima qualità , ad esempio, noi facciamo pagare 300 euro, una Asl non chiede meno di 700 euro. Perché?». I poliambulatori vivono grazie alle donazioni private e ai proventi del 5 per mille. Si finisce qui perché si è nullatenenti, o disorientati dai vari grovigli burocratici del sistema sanitario pubblico. Oppure perché pagare il ticket è diventato insostenibile. In queste condizioni, cosa succederà  nei prossimi anni ai conti del sistema sanitario, già  in grave difficoltà ?
UN FUTURO INQUIETANTE
Il peso dei ticket, già  altissimo per i cittadini e per il sistema sanitario, è destinato a crescere. La manovra Berlusconi nel 2011 ha previsto che dal 2014 le Regioni si accollino altri 2 miliardi di euro da recuperare attraverso la “compartecipazione” dei pazienti alle spese sanitarie. Passare da 2,8 miliardi a 4,8 è impensabile. Rischia di crollare tutto. «L’ho detto molte volte che i nuovi ticket non erano sostenibili, per le famiglie e per il sistema». Renato Balduzzi è il ministro alla Sanità  uscente e per mesi ha lavorato per trovare misure alternative ai ticket. «Il meccanismo non funziona, ce ne vuole uno diverso. Ho proposto quello basato sulla franchigia». Si tratta di calcolare quanto può dare un cittadino alla sanità  e fargli pagare fino a un certo numero di visite ed esami. Superata la soglia otterrà  prestazioni gratuite. «Per un sistema del genere dice Balduzzi – ci vuole un Isee (il sistema di calcolo della ricchezza, ndr) che funzioni. Abbiamo lavorato anche su questo ma sono necessarie delle modifiche». Balduzzi sottolinea come malgrado i problemi il sistema sanitario italiano sia ancora efficiente. «Chi ha una patologia seria può contare su una sanità  pubblica con livelli di qualità  elevati». C’è però un’erosione su attività  talvolta meno complesse ma comunque importanti, come quelle diagnostiche.
«Dobbiamo approfittare di questa situazione per lavorare sull’appropriatezza, cioè per eliminare le prestazioni inutili che vengono chieste da molti cittadini». Ottavio Davini è un medico radiologo che ha fatto il direttore sanitario alle Molinette di Torino e di recente ha pubblicato “Il prezzo della Salute”. «L’iperconsumo sanitario danneggia la nostra salute. Anche se stiamo affrontando una decrescita sanitaria molto infelice ed era meglio intervenire prima, già  che ci siamo dobbiamo provare a salvare il nostro welfare sanitario distinguendo tra le prestazioni che servono e quelle che non servono e garantendo solo le prime. Introducendo criteri di buonsenso nel procacciarsi le prestazioni sanitarie si potrebbero risparmiare molti soldi e forse si otterrebbe più salute. Senza mettere in dubbio l’universalità  della sanità ». E senza dover perdere i denti e la dignità .


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