Il premier: Renzi vuole mandarmi fuori strada

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Ma il premier teme altre repliche, nuovi problemi e soprattutto sa che Matteo Renzi non mollerà  facilmente la presa. «Voi volete buttare il governo fuori strada. E mandarlo a sbattere», ha detto in faccia al ribelle Roberto Giachetti, vicinissimo al sindaco di Firenze. Poi, Letta e Giachetti si sono spiegati e si sono capiti. Ma certo Renzi ieri non ha fatto nulla per evitare che il governo inciampasse sulla legge elettorale. Quando ha telefonato a Giachetti, anzi, lo ha invitato ad andare fino in fondo. «Ma come fanno a chiedere a te, che hai fatto quattro mesi di sciopero della fame, di ritirare la mozione sul Matterellum? Che c’entra il governo? È un atto di indirizzo parlamentare. Non ti fermare, Roberto».
Il governo, e la solidità  del Pd, ossia del partito del presidente del Consiglio, in realtà  c’entravano, eccome. Altrimenti ieri l’asse che collega Palazzo Chigi e Largo del Nazareno non avrebbe vissuto un giorno sul filo del rasoio. Con un occhio inevitabile puntato sulle mosse del centrodestra. Per Silvio Berlusconi il Mattarellum, ovvero il sistema maggioritario con i collegi uninominali e una piccola quota proporzionale, è il male assoluto, una trappola da evitare a tutti i costi, sarebbe la tomba del berlusconismo e il potenziale strumento per un’alleanza tra sinistra e Movimento 5stelle. Ecco perché la legge “porcata”, almeno fino a quando non sarà  completato il processo di riforma costituzionale, non va toccata, nemmeno con delle correzioni light.
I falchi del Pdl lo hanno fatto capire (alzando la voce) al ministro delle Riforme Gaetano Quagliariello, faticosamente preso in mezzo tra le preoccupazioni di Giorgio Napolitano e i diktat dei suoi. «Nell’ordine del giorno, la legge elettorale non va nemmeno sfiorata — ha tuonato in una riunione notturna Denis Verdini — . Lo volete capire che noi il Porcellum ce lo dobbiamo tenere, che è la nostra polizza sulla vita?».
L’accusa che Renzi e i suoi parlamentari rivolgono a Dario Franceschini e a Letta è appunto quella di aver «ceduto di nuovo a un ricatto di Berlusconi, come sull’Imu». E di ricatto in ricatto, il Partito democratico finirà  schiacciato dal Pdl. «Ma a me nessuno può dirmi che sono un difensore del Porcellum — si ribella Letta — . Nessuno, questo dev’essere chiaro. Mi sono battuto, anche prima dello sciopero della fame di Giachetti, per cambiare quella legge lo scorso anno. La mia associazione “360” lanciò anche il count down per incardinare la riforma in Parlamento». Con Renzi il chiarimento è stato freddo, senza diventare tempestoso. Democristiano, insomma. Uno scambio di sms. «Non c’entro niente», quello del sindaco. «La mozione però è sbagliata», quello del premier. Di certo, c’è che il Pd, appena pacificato e appena uscito da un turno delle amministrative positivo per le sue sorti e per l’esecutivo, appare di nuovo un accampamento di tribù litigiose. Roberto Speranza, il giovane capogruppo della Camera, ha deciso di uscire dall’impasse con la prova di forza in assemblea. Mettendo ai voti le mozioni: una conta che Speranza ha vinto e che in aula si è trasformata in un trionfo
perché i numeri finali hanno sancito due diverse linee dentro le componenti renziane e veltroniane. Qualcuno ha votato il documento della maggioranza, qualcun altro è uscito dall’aula in dissenso.
Ma si è riaperta una caccia all’uomo dentro al Pd. E quell’uomo è in particolare Renzi. Secondo Beppe Fioroni soffre di «ansia da prestazione» che sfoga sulla tenuta dell’esecutivo. Quanto a Giachetti «un vicepresidente della Camera votato da centinaia di noi, dopo aver preso atto della decisione del gruppo,
o ritira la mozione e se ne va dal partito», dice il deputato cattolico. Nico Stumpo, bersaglio fisso del sindaco di Firenze, scherza: «Se quelli di Matteo fanno casino, voglio cominciare anch’io. Proporrò una mozione per accorpare Firenze e Prato». Il veltroniano Andrea Martella denuncia le troppe pressioni dentro il centrosinistra. «Io non mi faccio condizionare da operazione strumentali, da qualunque parte vengano ».
Il pericolo sono le manovre tattiche, il tiro al bersaglio sul governo, il tentativo di togliergli una visione di lungo periodo. E la sofferenza del Pd nell’alleanza col Pdl, è testimoniata dal documento di 43 parlamentari critici con il percorso delle riforme scelto da Palazzo Chigi. Rosy Bindi l’ha firmato e con i colleghi commenta: «Io la pacificazione con loro non la farò mai. A meno che un giorno Berlusconi vada in televisione e dica: Rosy,
sei bella».


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Una crisi senza classe

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LA SINISTRA
 Almeno due fenomeni, distinti fra loro, ma fortemente correlati, sgomentano oggi chiunque osservi la turbolenta scena dell’economia e della finanza. Una scena che ormai fa del presente disordine mondiale il nostro pasto mediatico quotidiano. Il primo riguarda lo stolido e pervicace conformismo con cui banche centrali, governi, partiti, economisti, continuano a trovare «soluzioni alla crisi» riproponendo le usurate ricette che hanno l’hanno generato, e ora resa potenzialmente catastrofica.

Tutti di corsa al Quirinale

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Una scommessa pericolosa

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Tanto rumore per (quasi) nulla. Pre­mio dal 18 al 15%, soglia dal 35 al 37%, sbar­ra­mento per l’accesso dal 5 al 4,5%. Se Renzi voleva con la sua discesa in campo dare un mes­sag­gio di novità, si direbbe piut­to­sto che abbia pie­na­mente con­fer­mato l’inconcludenza della poli­tica ita­liana.

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