In scena appena nata, attrice di rivista. E poi con Dario

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Franca, con la sorella Pia (regina della sartoria teatrale), prende in corsa il treno artistico con genitori, cugini, zii, sorelle e a otto giorni dalla nascita a Parabiago, il 26 luglio ’29, è portata in scena come l’infante di Genoveffa di Brabante. Per 20 anni scavalca montagne, borghi e paesi di Lombardia montando il palco, recitando melò e tragedie, smontando le scene, ripartendo coi carri.
La vita raminga ma faticosa di Capitan Fracassa cambia marcia quando la bellissima Franca arriva a Milano nel ’50 ed è subito notata dai commendatori della rivista che la vogliono in Ghe pensi mi di Marchesi con Scotti, mentre in Tre e simpatia fa una passerella mozzafiato (s)vestita solo di tre puntini: il pubblico suda, all’Olimpia, non solo perché è agosto. Intanto aveva conosciuto e conquistato ipso facto il pittore scrittore eccetera Dario Fo, attore votato alla causa assurdo-comica che, sempre d’estate, con Parenti e Durano, espugnò il Piccolo Teatro col Dito nell’occhio e Sani da legare. E lei con lui. Per sempre, in tutti i camerini del mondo. Partner, moglie, ma anche autrice, segretaria, sarta, amministratrice, polemista, raccoglitrice di fondi per i carcerati («Soccorso Rosso»), solista di Bella ciao col pugno chiuso. Nei loro foyer non mancava mai un banchetto di raccolta fondi. Divennero una coppia indissolubile, una parola sola. Per anni a settembre aprirono la stagione all’Odeon di Milano con titoli demenziali: Isabella, tre caravelle e un cacciaballe, Settimo ruba un po’ meno, Chi ruba un piede è fortunato in amore. Con La signora è da buttare, dove la signora era l’America, il ’68 entra in scena senza bussare: è ora di lasciare il velluto rosso dei teatri ufficiali e scegliere officine, fabbriche occupate, scuole, università , capannoni, ovunque ci sia un quarto stato che a prezzo calmierato li ascolta e ci ripensa.
Così fondano il collettivo della Nuova Scena, poi La Comune, ingresso con tessera, ispezione e allarme bombe continuato. A sinistra di Brecht, fanno col teatro la cultura della controinformazione e a Milano restaurano la Palazzina Liberty che diventa il loro stabile dove trionfa Mistero buffo, spettacolo in cui entrerà  poi la Rame a recitare splendidamente la Lauda di una Madonna che grida il suo Dolore sotto la croce. Nel ’97 accompagnerà  a Stoccolma il marito a ritirare il Nobel che le sarà  per metà  dedicato. E il giro continua con decine di copioni in cui l’attrice ha spazi che riempie con stile particolare, un nuovo modo di dialogare col pubblico, un’invincibile voglia di abbattere la quarta parete del teatro per recuperare valori civili, senso della comunità , il bisogno di sentirsi utili, come il bisnonno raccoglieva monetine per gli asili. L’impegno sociale diviene politico quando nel 2006 è eletta senatrice (delusa) con Di Pietro.
La sua è una carriera che le frutta amici e nemici, qualche clamore (quella domenica che divorziò per poche ore da Dario in diretta tv…), un sospetto suicidio di sabato pomeriggio e un atroce fatto personale di violenza; ma anche le stimmate civili, una rete di complicità  e connivenze morali che si estendono in tutto il mondo, cui il teatro fa da collante. I loro nomi si sono accesi in tutti i neon, anche quelli americani, dopo lunga attesa. In tv prima li cacciano da Canzonissima 1962, dove le parole «operaio», «mafia», «morti bianche» sono sconsigliate se non proibite, per anni sono off. Sarà  Celentano ad ospitarla nel ’77 un sabato sera per il monologo sullo stupro che sconvolge milioni di donne.
Allora Rame, vicino alle lotte femministe ma con una visione più ampia e sociale, scrive copioni self made, o col figlio Jacopo, Tutta casa letto e Chiesa, Non si paga, Sesso? Tanto per gradire virando sempre più verso la conferenza spettacolo da comizio, ma conoscendo bene i meccanismi del palcoscenico sotto i cui riflettori Franca dove avrebbe voluto morire, come gli antenati girovaghi.


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