La lezione che arriva dall’Emilia «rossa»

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La lotta dei facchini del consorzio Sgb non è stata dunque una vertenza isolata. E la vittoria dei lavoratori, per quanto parziale, si inserisce in un trend che sta mettendo in discussione l’intero sistema di organizzazione del lavoro nel settore.
Nel processo di outsourcing che interessa la logistica, il sistema delle cooperative gioca un ruolo fondamentale. Permette la gestione della forza lavoro ad un costo minimo e con un elevato livello di flessibilità. «Ci spremono come limoni e quando non serviamo più ci buttano via» sintetizzano i lavoratori. Abbandonato il terreno mutualistico e i principi etici delle origini, il modello cooperativo si è fatto a tutti gli effetti dispositivo di precarizzazione, rispondendo prevalentemente a un calcolo costi-benefici e di convenienza degli investimenti. Inoltre, che circa il 98% degli addetti siano migranti resi vulnerabili da una legge che lega il permesso di soggiorno al contratto di lavoro ha permesso un ulteriore giro di vite su diritti e garanzie aprendo il settore a processi spinti di razzializzazione del lavoro.
Flessibilità, precarizzazione, gerarchie sul terreno della razza: queste le coordinate del lavoro e dello sfruttamento nelle cooperative della logistica. Un sistema fatto di caporalato, straordinari non pagati, trattenute illegittime, scarsa sicurezza. Mentre il settore, fiore all’occhiello del made in Italy risente meno di altri della crisi e politica e sindacati non indagano in ragione dell’enorme fatturato.
La questione non riguarda solo i grandi capitali nazionali e internazionali: Ikea, Tnt, Sda, Artoni. Interessa anche il modello cooperativo in sé. E questo nonostante i distinguo posti da Legacoop, tra coop virtuose e coop che inquinano il mercato agendo senza permessi di intermediazione di lavoro e senza rispettare il Ccnl. Quella di operare dei distinguo, d’altra parte, è una precisa strategia messa in campo con la costituzione dell’Alleanza delle cooperative italiane che unisce le coop rosse di Legacoop, quelle bianche della Confcooperative e quelle verdi (ex repubblicane) dell’Agci. Il nuovo soggetto con cui le lotte della logistica avranno a che fare da qui in avanti.
È per questo che la recente vertenza bolognese ha una specificità forte. Arriva al cuore del sistema delle cooperative nell’Emilia “rossa” che proprio intorno a questo modello ha costruito il suo potere economico e politico: oltre 500 mila addetti e un giro d’affari costantemente in crescita, con le cooperative agroalimentari, tra cui Granarolo e Coop Adriatica (al centro di un’altra lotta tra dicembre e gennaio scorsi) che mostrano i risultati migliori. La vertenza ha dunque assunto un carattere a tratti paradigmatico e la reazione padronale è stata dura come mai in precedenza. Insieme ai licenziamenti e alle cariche della polizia che già si erano viste all’Ikea di Piacenza, la risposta alle proteste dei lavoratori è arrivata dalla commissione di garanzia sullo sciopero: latte e derivati sono da considerare beni di prima necessità. Bloccarne la circolazione vuol dire interrompere un servizio di pubblica utilità. È la prima volta che la legge 146 sulle limitazioni del diritto di sciopero interessa il settore della logistica, colpendo peraltro l’arma forte di queste lotte: gli scioperi selvaggi che bloccano la circolazione delle merci, oggi spazio privilegiato della valorizzazione capitalista. I lavoratori non si sono fatti intimidire e hanno continuato con blocchi e picchetti. La posta in palio è grossa: riguarda l’organizzazione del lavoro in un settore in crescita nonostante la crisi. A giudicare degli umori di entrambe le parti all’indomani della sigla dell’accordo, la partita è tutt’altro che conclusa.


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