Massacri e scomparse in un paese al bivio

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BOGOTÀ. Il 24 Luglio, alla presenza del Presidente della Repubblica Juan Manuel Santos, il Centro de Memoria Historica (Cmh) ha presentato il rapporto Basta Ya. Colombia: Memorias de Guerra y Dignidad. Inizialmente commissionato per ricostruire le origini e lo sviluppo dei gruppi armati illegali, il rapporto va oltre e cerca di dare una dimensione quantitativa e analitica al conflitto. Gli autori – guidati dal Direttore del Centro Gonzalo Sanchez e dalla coordinatrice del Rapporto Martha Nubia Bello – decidono di ricostruire i fatti a partire dal 1958.
Il lavoro è il punto finale di un lungo processo di ricostruzione storica che ha portato alla compilazione di 24 volumi, ciascuno basato su di un caso emblematico. L’obiettivo di quest’ultimo sforzo è quello di completare la ricostruzione associando al lavoro di campo le fonti secondarie e di tirare le fila, proponendo anche raccomandazioni per l’attuale processo di pace in corso all’Avana.
Il Cmh è stato istituito nel contesto della Ley 1448 de 2011, chiamata anche Ley de Victimas, un primo passo verso il riconoscimento delle vittime del conflitto nell’agro colombiano, che sta portando a un (seppur contestatissimo) processo di restituzione delle terre. Obiettivo del Cmh, come si legge dal Decreto, è accompagnare il processo di riconoscimento delle vittime e conservazione della memoria attraverso una serie di iniziative. Benché Governativo, l’istituto ha commissionato il lavoro del rapporto a un gruppo di esperti indipendenti proveniente dall’Accademia e selezionato dallo stesso direttore del centro.
Il rapporto è organizzato in cinque capitoli e inizia con una ricostruzione quantitativa del conflitto. Le cifre parlano da sole: si parla di 22000 morti, civili per l’81.5%. Tuttavia, buona parte delle fonti non sono esaustive: il Registro Unico de Víctimas (una delle fonti principali) registra le vittime a partire dal 1981, l’Organismo che contabilizza i desplazados (rifugiati interni, vera piaga colombiana) dal 1985 e i sequestri sono contabilizzati solo a partire dagli anni Settanta, pertanto – come affermano chiaramente gli autori – si tratta di una sottostima dei numeri reali.
La dimensione non letale del conflitto è a sua volta eclatante: 25000 desaparecidos, 1754 stupri, 6421 minori reclutati, 10 mila vittime di mine antipersona, 27000 sequestri e quasi 5 milioni di desplazados. Nel rapporto si distinguono 14 tipi di violenza e si quantifica il ruolo quantitativo di ciascun attore armato.
Nelle quattro fasi del conflitto identificate dagli autori la più brutale è stata quella tra il 1996 e il 2005 (la terza), segnata dall’auge del paramilitarismo. Ai gruppi paramilitari sono da imputare il 60% dei massacri registrati, il 40% degli omicidi selettivi, e la maggior parte delle sparizioni. La guerrilla, dichiara il rapporto, concentra la sua attività soprattutto contro la libertà delle persone e il patrimonio. Essa rappresenta la principale autrice (nella misura del 90%) dei sequestri.
Ê importante sottolineare che un peso quantitativo del 10%, sia dei massacri che degli omici di selettivi (per essere precisi 7.9% e 10.1%) sono da imputare direttamente a membri dell’esercito o di altri apparati dello Stato. In effetti, il rapporto si conclude con una tabella che riepiloga le sentenze di condanna dello Stato Colombiano da parte della Corte Interamericana per i Diritti Umani.
Questo è il tema più spinoso del rapporto. Gli autori affermano con forza la responsabilità fattuale dello Stato, ma non postulano l’esistenza di una strategia da parte di quest’ultimo. Sottolineano gli elementi di assenza dello Stato, che ha permesso quel fenomeno di anclaje endógeno (radicamento endogeno) che si riscontra in molte zone di colonizzazione interna dove gli attori armati sono l’unica presenza sin dall’insediamento. Sottolineano inoltre l’assenza di istituzioni forti, che ha permesso lo sviluppo di apparati deviati e di una sostanziale autonomia locale dallo stato centrale.
In questo modo si rischia di minimizzare il peso della chiusura dello spazio politico, che è stato sempre al centro delle rivendicazioni della sinistra e da essa indicata come una delle ragioni del conflitto stesso.


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