Stop agli espianti dai giustiziati

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PECHINO. La Cina, attraverso un suo importante funzionario, ha annunciato che da novembre diminuirà progressivamente l’espianto degli organi dai prigionieri giustiziati a seguito di condanna a morte. Si tratta di un annuncio che segue un percorso cominciato mesi fa, quando a marzo durante l’Assemblea Nazionale (il «Parlamento» cinese) la Cina riconobbe di utilizzare i condannati a morte per rispondere alla domanda di organi. Fu una presa di posizione rilevante, dato che fino ad allora si era trattato di una pratica in gran parte conosciuta, ma tenuta rigorosamente nascosta.
Tutto quanto riguarda i trapianti di organi in Cina è stato regolato solo ultimamente, di fronte ad una domanda sempre crescente: la Cina infatti è uno dei paesi al mondo con più richieste di donazioni; è stato calcolato siano almeno 300 mila le persone cinesi in attesa di un organo nuovo.
Fino al 2007 i modi attraverso i quali venivano gestiti i trapianti in Cina erano 3: dai cadaveri dei condannati a morte (per il 64%), dai familiari e da cittadini volontari viventi. Dal 2007 Pechino ha vietato la donazione da vivente a eccezione dei familiari dei pazienti, nell’intento di bloccare un traffico illegale di organi che aveva ormai assunto proporzioni imbarazzanti. Nel 2012 fece scandalo il processo a 5 persone, tra cui un medico, responsabili di aver espiantato un rene da uno studente in cambio di un Ipad, per impiantarlo su un paziente che per l’intervento aveva pagato 6mila euro. Dal 2007 questa pratica è vietata: possono donare gli organi volontariamente da vivi solo i familiari del paziente.
L’annuncio di non ricorrere più, almeno non in modo così massiccio, all’espianto degli organi dei condannati a morte in Cina, è arrivato da Huang Jiefu, capo dell’ufficio dei trapianti d’organi del ministero della salute, che ha sostenuto di avviare al più presto un programma nazionale al riguardo. «Sono sicuro – ha detto il funzionario, ex ministro della Salute – che tra non molto tutti gli ospedali accreditati abbandoneranno l’uso degli organi di prigionieri» specificando che «le fonti degli organi per il trapianto dovranno soddisfare gli standard etici comunemente accettati nel mondo».
I primi risultati di questo allentamento sono già visibili dalle statistiche, a seguito del lancio di un progetto pilota in 25 province e comuni. Secondo i dati forniti da Huang alla fine del 2012, circa il 64% degli organi trapiantati in Cina proveniva da prigionieri giustiziati e il numero quest’anno sarebbe già sceso sotto il 54%. Oltre mille sarebbero stati i donatori che volontariamente avevano espresso il desiderio di donare gli organi dopo la morte e 3mila sarebbero state le persone a beneficiare dei trapianti. La donazione volontaria in Cina è aumentata da 63 casi nel 2010 a una media di 130 al mese di quest’anno, secondo i numeri forniti da Huang Jiefu.
Il tentativo da parte della Cina è quello di creare un sistema volontario nazionale entro il 2013, capace di ovviare alle richieste e di mantenere un controllo etico sul processo; non si tratta di un percorso facile, anche perché la Cina ha introdotto un sistema nazionale di trapianti, con 165 ospedali accreditati, solo nel 2010. I problemi infatti sono tanti. Yang Lin, primaria di nefrologia al reparto di dialisi dell’ospedale sino giapponese di Pechino, racconta che ultimamente, specie con la decisione di non utilizzare gli organi dei condannati a morte, sono invece diminuite le donazioni. Conta anche la tradizione: «I cinesi – spiega il medico – sono abituati a farsi cremare o richiedono la sepoltura del corpo intero». Solo nel suo reparto di dialisi si alternano nei tre turni giornalieri trecento persone circa, a segnalare la consueta importanza dei numeri cinesi: manca anche l’informazione, naturalmente, ed è sempre in agguato l’illegalità favorita dal sistema sanitario, in pratica privato, per il quale un intervento che prevede un trapianto può costare anche 8mila euro (una dialisi costa dalle 100 alle 150 euro a sessione, ad esempio). Questo elemento, unito alla tradizionale corruzione medica, come hanno fatto emergere i recenti scandali legati alle prescrizioni dei medicinali, non consente ancora oggi un’emersione totale nella legalità e nell’etica, del sistema dei trapianti in Cina.


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