Bancari contro banchieri, le filiali scendono in piazza
Ai bancari lo sciopero è riuscito benissimo. Con presidi e manifestazioni in decine di città, e con un’adesione che i sindacati hanno quantificato come superiore all’85% dei 310mila addetti del settore. Mentre l’Abi, l’associazione bancaria italiana, ha limitato l’agitazione al «solo» 55%. Più che sufficiente comunque per far chiudere gran parte delle filiali e delle agenzie sul territorio, addirittura il 92% secondo i dati sindacali. «Nonostante che le banche e i gruppi bancari si siano rifiutati di accettare l’adesione allo sciopero dei dipendenti che avevano già programmato una giornata di ferie – ricordano Dircredito, Fabi, Fiba Cisl, Fisac Cgil, Sinfub, Ugl e Uilca – questa è stata la risposta della categoria alla disdetta del contratto nazionale di lavoro».
Per i banchieri non è stata una giornata facile. Perché lo sciopero dei loro dipendenti, il primo dal lontano 2004, ha permesso di gettare un fascio di luce sull’intero comparto. E i numeri, davvero impietosi per i vertici dell’Abi e per i top manager dei vari istituti di credito, anche in questo caso danno ragione alla vulgata generale: i costi della crisi vengono pagati dai lavoratori.
Nell’ultima relazione del governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, si registra che i profitti lordi delle banche italiane sono stati di 32 miliardi annui nel biennio 2011-12, e di altri 17 miliardi nel primo semestre 2013. «Le perdite sui crediti deteriorati – ha peraltro segnalato Visco – continuano ad assorbire gran parte dei profitti». Su questo versante, l’Abi ha quantificato in 141,8 miliardi le sofferenze lorde, cioè il totale dei crediti «dubbi e incagliati», e in 73,5 miliardi le sofferenze nette, quelle dopo le svalutazioni già effettuate dai singoli istituti di credito.
I crediti inesigibili sono branditi come una clava dall’Abi, pronta poi a lamentare che nelle banche italiane il costo del lavoro è troppo alto rispetto alla media europea, e che ci sono troppe filiali e troppi addetti. Ancora ieri mattina il vicepresidente dei banchieri Francesco Micheli dichiarava: «Va ridiscusso completamente un contratto che in questo momento, sia dal punto di vista normativo che economico, è considerato unanimemente insostenibile». La risposta dei sindacati, che senza la cancellazione della disdetta non torneranno a trattare, è anch’essa affidata ai numeri. Quelli della Bce rilevano che ogni 10mila abitanti le banche italiane occupano 51 addetti, mentre la media Ue è di 63 addetti. Quanto agli sportelli, sono 5,3 mentre la media Ue è di 5,1. Infine le sofferenze. «I dati nazionali ci dicono che il credito cosiddetto deteriorato – segnalano Fabi, Fisac & c. – è riconducibile, per due terzi del totale, ad affidamenti di alti importi, di 500mila euro e oltre, e in misura minore ai fidi di importo medio». «E’ bene che si sappia – ha spiegato un manifestante fiorentino – che sui fidi da 500mila euro in su la decisione viene sempre presa dai consigli di amministrazione». Non è finita. «Ben 254 miliardi di euro presi in prestito dalla Bce al tasso del 1% sono stati dirottati sull’acquisto di titoli pubblici – denunciano i sindacati – mentre gli impieghi alla clientela sono diminuiti in un anno del 44%. Nel mentre l’Abi permette che le retribuzioni dei top manager raggiungano importi vergognosi. L’ultimo esempio è quello dell’ex ad Cucchiani del gruppo Intesa: 7 milioni di euro per 21 mesi di lavoro». In uno scenario che vede 12 banche commissariate, 20mila nuovi esuberi già dichiarati e altri 10mila addetti in bilico (dopo i 50mila già usciti dal 2000 ad oggi), l’azzeramento del contratto – compreso il fondo di solidarietà alimentato da banche e lavoratori che ha permesso le uscite soft – viene visto come una provocazione. «Il documento di disdetta – osserva Maurizio Arena di Dircredito – porta con sé il marchio dell’italianità nel senso deteriore del termine: le colpe sono sempre di qualcun altro. Così i banchieri che con la finanza predatoria, i crediti concessi agli ‘amici’ e la mala gestione hanno indebolito le banche, cercano di far pagare la crisi del settore ai dipendenti». Fra i quali gli unici a non scioperare sono stati quelli che lavorano in Borsa. Riccardo Chiari
Ai bancari lo sciopero è riuscito benissimo. Con presidi e manifestazioni in decine di città, e con un’adesione che i sindacati hanno quantificato come superiore all’85% dei 310mila addetti del settore. Mentre l’Abi, l’associazione bancaria italiana, ha limitato l’agitazione al «solo» 55%. Più che sufficiente comunque per far chiudere gran parte delle filiali e delle agenzie sul territorio, addirittura il 92% secondo i dati sindacali. «Nonostante che le banche e i gruppi bancari si siano rifiutati di accettare l’adesione allo sciopero dei dipendenti che avevano già programmato una giornata di ferie – ricordano Dircredito, Fabi, Fiba Cisl, Fisac Cgil, Sinfub, Ugl e Uilca – questa è stata la risposta della categoria alla disdetta del contratto nazionale di lavoro».
Per i banchieri non è stata una giornata facile. Perché lo sciopero dei loro dipendenti, il primo dal lontano 2004, ha permesso di gettare un fascio di luce sull’intero comparto. E i numeri, davvero impietosi per i vertici dell’Abi e per i top manager dei vari istituti di credito, anche in questo caso danno ragione alla vulgata generale: i costi della crisi vengono pagati dai lavoratori.
Nell’ultima relazione del governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, si registra che i profitti lordi delle banche italiane sono stati di 32 miliardi annui nel biennio 2011-12, e di altri 17 miliardi nel primo semestre 2013. «Le perdite sui crediti deteriorati – ha peraltro segnalato Visco – continuano ad assorbire gran parte dei profitti». Su questo versante, l’Abi ha quantificato in 141,8 miliardi le sofferenze lorde, cioè il totale dei crediti «dubbi e incagliati», e in 73,5 miliardi le sofferenze nette, quelle dopo le svalutazioni già effettuate dai singoli istituti di credito.
I crediti inesigibili sono branditi come una clava dall’Abi, pronta poi a lamentare che nelle banche italiane il costo del lavoro è troppo alto rispetto alla media europea, e che ci sono troppe filiali e troppi addetti. Ancora ieri mattina il vicepresidente dei banchieri Francesco Micheli dichiarava: «Va ridiscusso completamente un contratto che in questo momento, sia dal punto di vista normativo che economico, è considerato unanimemente insostenibile». La risposta dei sindacati, che senza la cancellazione della disdetta non torneranno a trattare, è anch’essa affidata ai numeri. Quelli della Bce rilevano che ogni 10mila abitanti le banche italiane occupano 51 addetti, mentre la media Ue è di 63 addetti. Quanto agli sportelli, sono 5,3 mentre la media Ue è di 5,1. Infine le sofferenze. «I dati nazionali ci dicono che il credito cosiddetto deteriorato – segnalano Fabi, Fisac & c. – è riconducibile, per due terzi del totale, ad affidamenti di alti importi, di 500mila euro e oltre, e in misura minore ai fidi di importo medio». «E’ bene che si sappia – ha spiegato un manifestante fiorentino – che sui fidi da 500mila euro in su la decisione viene sempre presa dai consigli di amministrazione». Non è finita. «Ben 254 miliardi di euro presi in prestito dalla Bce al tasso del 1% sono stati dirottati sull’acquisto di titoli pubblici – denunciano i sindacati – mentre gli impieghi alla clientela sono diminuiti in un anno del 44%. Nel mentre l’Abi permette che le retribuzioni dei top manager raggiungano importi vergognosi. L’ultimo esempio è quello dell’ex ad Cucchiani del gruppo Intesa: 7 milioni di euro per 21 mesi di lavoro». In uno scenario che vede 12 banche commissariate, 20mila nuovi esuberi già dichiarati e altri 10mila addetti in bilico (dopo i 50mila già usciti dal 2000 ad oggi), l’azzeramento del contratto – compreso il fondo di solidarietà alimentato da banche e lavoratori che ha permesso le uscite soft – viene visto come una provocazione. «Il documento di disdetta – osserva Maurizio Arena di Dircredito – porta con sé il marchio dell’italianità nel senso deteriore del termine: le colpe sono sempre di qualcun altro. Così i banchieri che con la finanza predatoria, i crediti concessi agli ‘amici’ e la mala gestione hanno indebolito le banche, cercano di far pagare la crisi del settore ai dipendenti». Fra i quali gli unici a non scioperare sono stati quelli che lavorano in Borsa.
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