Dal Nilo i barconi per Lampedusa Gli scafisti? Ex detenuti in Italia

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RASHID (Delta del Nilo) — Lasciano le sponde insanguinate del Medio Oriente proprio dove il grande fiume diventa mare. Sono quasi tutti siriani in questo periodo. Profughi allo sbaraglio. Ci sono disperati senza più niente da perdere, guerriglieri terrorizzati dopo le torture subite, ma anche medici braccati per aver curato le vittime del regime, professionisti, negozianti cui hanno bruciato casa e bottega, uomini d’affari che hanno venduto sottocosto ciò che potevano e cercano salvezza con la famiglia. Partono di notte, portando con sé al massimo sei o sette chili di bagaglio, tanti assolutamente nulla: sfidano il buio tra le onde su barchette colorate di verde e azzurro che sembrano giocattoli abbandonati sulla spiaggia. Più al largo, quando già l’acqua marrone di fango e inquinamento si è mischiata con il blu scuro del Mediterraneo, trovano i barconi «madri» lunghi anche 30 metri dei pescatori che hanno promesso di trasportarli in Italia: la porta verso la salvezza, la fuga dalla guerra, dal dolore, dal caos. Quelle stesse scialuppe verranno attaccate al traino e serviranno per lo sbarco finale. Ma prima ancora devono trattare con i mediatori, gli sciacalli, i signorotti della malavita locale. I pescatori arrivano per ultimi e li nascondono alle retate della polizia per settimane tra le casupole immerse nei palmeti. Finché giunge il momento e vengono condotti su auto scassate tra i viottoli adducenti alle spiagge che punteggiano di bianco i due rami maggiori della foce, tra Alessandria, Rashid e Damietta. Curioso che proprio tra i porticcioli primitivi di Rashid si trovi il luogo del ritrovamento 214 anni fa della Stele di Rosetta, sino ad oggi considerata la pietra miliare per la decifrazione dell’epoca dei faraoni e però un memento delle rapine compiute dagli europei.
«Sulle nostre barche non stanno tanto male. Possono mangiare e dormicchiare. Però il viaggio è lungo, dall’Egitto verso la Calabria o la Puglia dura tra i sette e dieci giorni, a seconda delle condizioni meteo. Ovvio che si possono incontrare burrasche, venti forti, e allora la situazione peggiora specie per i bambini e per chi soffre il mal di mare», racconta Mustafa, che nell’italiano non troppo stentato appreso durante i due anni e otto mesi trascorsi nel carcere di Ragusa non nasconde di essere uno scafista. Ne parla assieme ad Abbas, «compare» di prigionia, visto che è stato chiuso nelle celle di Enna per due anni e mezzo. «I Carabinieri mi hanno preso a Rossano, in Calabria, il 23 novembre 2011. E sono rimasto in una cella con sette compagni sino al 30 luglio 2013. Tutti i giorni la stessa pasta scotta. Nelle carceri italiane ci sono oggi almeno 200 scafisti», stima. E tuttavia non nasconde che lo rifarebbe subito se avesse un buon ingaggio. Lui e il suo «compare» sembrano essersi ripresi in fretta. Mustafa ha compiuto tre viaggi verso le coste italiane quest’estate. «Ogni volta con a bordo tra i 100 e 150 profughi. E sono tutti giunti a destinazione. Nessun affondamento. In caso di problemi i capitani possono chiamare i soccorsi con il satellitare Thuraya. I pochi morti sono stati a causa delle condizioni di salute individuali. Li abbiamo gettati a mare. Cosa potevamo fare senza cella frigorifera?», spiega. Comunque un buon affare. Ogni viaggiatore paga tra i 3.000 e i 4.500 dollari. Ma loro di soldi non vogliono parlare, come non forniscono le generalità. La polizia egiziana li ricerca, ha sparato di recente contro le barche causando vittime tra i profughi.
Cammini per i vicoli di Rashid, nelle viuzze presso il porto di Alessandria, o tra le strade larghe della «Sei Ottobre», la cittadina costruita nel deserto nell’ultimo ventennio a una trentina di chilometri dal Cairo dove sono raggruppati i nuovi arrivati dalla Siria, e scopri che le offerte di imbarco verso l’Italia sono all’ordine del giorno. «Il deposto governo dei Fratelli Musulmani aiutava gli immigrati siriani. Ma da luglio la giunta militare del generale Abdel Fattah Al Sisi ha cambiato corso: da ospiti graditi a indesiderati. La nostra esistenza è sempre più precaria. Io partirei subito», dice il 33enne Maher Labadi, che a Damasco aveva un’azienda di biancheria intima con 23 dipendenti, ma dopo essere stato minacciato dalle squadracce di Bashar Assad e aver subito il cannoneggiamento delle sue proprietà, tre mesi fa è approdato al Cairo con la moglie e due bambini di 3 e 5 anni. Gli hanno offerto di vendere dolci da ambulante. «Pensavo fosse temporaneo, volevo andare a lavorare in Svezia. Ma non vedo vie d’uscita. Gli scafisti chiedono 16.000 dollari per me e famiglia. Ne guadagno 8 al giorno e 6 vanno per l’affitto». Intanto sui siti Internet degli immigrati fioccano le offerte. La via per la Libia, da dove partire per l’Italia è molto più rapido e meno costoso, sta diventando difficoltosa a causa della destabilizzazione interna. I gestori del racket egiziani lo sanno e ne approfittano. Ultimamente è apparsa una nuova offerta: 5.500 dollari per un passaporto falso con un visto per l’Europa. Veloce e poco faticoso. Si prende l’aereo al posto della nave. Peccato che praticamente nessuno abbia i soldi, con il rischio oltretutto di essere fermati ancora prima di decollare.
Lorenzo Cremonesi


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