Bersani, trappole e congiura «Per parlare con Grillo chiese aiuto a un dentista»

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C’è Enrico Letta che, nel giorno della rielezione di Napolitano, confida ai presenti nella stanza di Bersani: «Sono stato a Pisa dai miei la scorsa settimana, mia madre mi ha detto: “Fate di tutto ma il governo con Berlusconi no…”». C’è Massimo D’Alema che non entra nella partita per il Quirinale — «nessuno lo propone mai, nessuno pronuncia il suo nome» — ma è sospettato («anche se non abbiamo prove») di essersi accordato con Matteo Renzi per «togliere di mezzo Bersani», anche affossando Prodi: «È convinzione comune di chi conosce la composizione dei gruppi parlamentari che in nessun modo sia possibile raggiungere la cifra di 101 o più grandi elettori dissenzienti, senza includere nel conteggio i 41 renziani che alla prima votazione avevano rifiutato di votare Marini e avevano scelto (dichiarandolo pubblicamente) Sergio Chiamparino».
Soprattutto, ci sono la fedeltà e l’ammirazione verso Pier Luigi Bersani al centro di «Giorni bugiardi» (Editori Riuniti), il libro che Stefano Di Traglia, portavoce dell’ex segretario Pd, e Chiara Geloni, direttore di Youdem Tv, mandano dopodomani in libreria. Una lealtà che induce talora a qualche forzatura (chi scrive è convinto che la gran parte dei renziani abbia votato Prodi). Ma non c’è dubbio, a leggere le bozze, che il libro sia destinato a far discutere, oltre ad arricchire di notizie e dettagli inediti i mesi decisivi tra le primarie dell’autunno 2012 e la nascita del governo Letta.
«Arriverai terzo» manda dire D’Alema a Bersani. Anche Letta, Franceschini, Bindi, Finocchiaro cercano di dissuaderlo dalla scelta di indire le primarie per la candidatura a Palazzo Chigi, con un’argomentazione che lo stesso Bersani riassume così nel libro: «Il partito non è tuo, non puoi esporlo a un tale rischio, ci porti al disastro». La Bindi in particolare insiste: «La verità è che tu non hai voglia di andarci, a Palazzo Chigi». «Oggi — conclude l’ex segretario — rifletto anche sul fatto che è l’unanimità che carica la molla del tradimento».
Dopo la vittoria dimezzata alle elezioni, Bersani ottiene l’incarico di formare il governo e avvia le consultazioni. Tenta invano di incontrare anche Grillo, gli fa sapere di essere disposto a raggiungerlo a Genova; nella mediazione vengono coinvolti pure Renzo Piano e il dentista dell’ex comico. Alfano propone un accordo — Quirinale al Pdl e Palazzo Chigi a Bersani; in second’ordine, Bersani premier di un governo di larghe intese — ma riceve due no. Per definire la partita del Colle, Bersani vede pure Berlusconi (definito da Di Traglia e Geloni «bravissimo a fare politica»), che si abbandona a confidenze sui guai giudiziari, sul fidanzamento «con relativa suocera» e sul Milan, annunciando di voler cacciare Allegri per sostituirlo con Seedorf. I soli nomi con cui si ragiona sono Amato, Mattarella e Marini; alla fine il Pdl indica il terzo.
Le drammatiche notti in cui naufragano prima la candidatura di Marini poi quella di Prodi sono raccontate nei dettagli. Napolitano scrive una serie di lettere riservate in cui spiega i motivi per cui rifiuta di essere rieletto, e cambierà idea solo dopo le sollecitazioni ricevute dai presidenti di Regione (compresi i leghisti Maroni e Zaia), «forse» da Mario Draghi e «forse anche» dalla Casa Bianca. D’Alema preme su Bersani perché i grandi elettori del centrosinistra decidano in una sorta di primarie la candidatura comune, Bersani gli risponde: va bene, «ma io dico per chi voto», cioè per Prodi. Allora, si chiedono gli autori, «perché i dalemiani non chiedono il voto segreto nell’assemblea che acclama Prodi? Perché alzano la mano a favore di Prodi quando Bersani chiede che ci sia almeno un voto palese?». Ancora una volta l’unanimità si rivela una trappola per il segretario.
Bersani è raccontato come un uomo lasciato solo dai suoi nel contrastare l’onda dell’antipolitica, dando segnali di coraggio che distinguano il Pd dagli altri partiti. C’è anche qualche metafora inedita e di non immediata comprensione — «quelli che hanno le volpi sotto l’ascella», «le smerluzzate che si prendeva Stefano Fassina» —, e una citazione che Bersani, scrivono con affettuosa ironia gli autori, «giura essere di Richelieu»: «Ho rincorso il mio obiettivo di spalle, come fanno i vogatori». E ci sono pagine malinconiche che raccontano quel che poteva essere e non è stato: il ritrovamento negli scatoloni dei traslochi di «200 schede dettagliatissime» sui provvedimenti che avrebbe preso il governo di cambiamento, dalle unioni gay allo ius soli al divorzio breve; e il «sogno» degli autori di vedere alla festa degli alpini, convocata proprio a Piacenza all’indomani delle votazioni per il Quirinale, il presidente Marini con il cappello piumato accanto al suo neopremier Bersani.
Aldo Cazzullo


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