Renzi e il timore di non controllare i parlamentari I dubbi sui veri obiettivi del Cavaliere

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Il vicepremier perché vuole protrarre la legislatura il più a lungo possibile per paura di andare alle elezioni. L’altro perché pensa di utilizzare questa storia per andare alle elezioni a maggio. E noi non dobbiamo restare incastrati in questi giochini perché vogliamo cambiare il sistema sul serio».
Già, adesso il timore di Renzi e del suo entourage è che, alla fine della festa, sia Alfano che Berlusconi vogliano tenersi questa legge elettorale. Il primo per timore che, appena cambiata, si vada dritti alle urne, lasciando il Ncd a metà del guado e con pochi consensi. Il secondo perché andando al voto con il proporzionale rimarrebbe comunque determinante per i giochi politici futuri e schiaccerebbe Alfano.
Ma c’è un altro dubbio, ancora peggiore, che assilla in questi giorni Renzi: il rapporto con i gruppi parlamentari del Pd. I quali, com’è noto, sono stati creati a immagine e somiglianza della maggioranza bersaniana. È vero che Matteo Orfini dice che per quanto lo riguarda «tentare di fregare il segretario, come da tradizione, sarebbe una stupidaggine perché equivarrebbe a fregare tutta la baracca del Pd». Ma tra gli avversari interni del leader è uno dei pochi a pensarla così. I bersaniani non nascondono le loro intenzioni. O, almeno, faticano sempre di più a farlo. Alfredo D’Attorre spiega ai giornalisti un tipo di riforma che non sembra quella immaginata da Renzi. Poi a qualche compagno di partito dice: «Comunque, vanno lette bene le motivazioni della sentenza della Corte costituzionale prima di decidere».
Sì, il dispositivo della Consulta è un altro appiglio per chi vuole evitare che il segretario faccia un blitz sulla riforma elettorale. C’è chi dice nel Transatlantico di Montecitorio che la sentenza della Corte potrebbe delimitare la legge elettorale che verrà, insomma, metterle dei paletti. E c’è chi lo spera. Soprattutto tra chi punta a impedire a Renzi di raggiungere il suo obiettivo: dimostrare di mantenere la parola data e mandare in porto alla Camera la riforma elettorale entro la fine di gennaio, al massimo nella prima settimana di febbraio, non oltre.
Se Renzi non centrasse questo obiettivo non farebbe certamente una bella figura. Per questa ragione guarda con apprensione all’«ostruzionismo strisciante» non solo del Nuovo centrodestra, ma anche del fronte bersaniano. Nonché di una fetta degli ex popolari, che sembrano esprimersi non troppo diversamente da Angelino Alfano. Beppe Fioroni, per esempio, sottolinea con forza che occorre andare avanti sulla strada di un nuovo sistema, ma aggiunge una postilla di non poco conto: «Che senso ha fare la riforma elettorale adesso se poi dobbiamo approvare un sistema improntato sul monocameralismo? Significherebbe dover rimettere mano subito dopo alla legge».
E, nel frattempo, in quel pezzo del Pd che vorrebbe frenare il segretario si sta pensando di unificare alcune proposte di legge in materia di riforma elettorale per valorizzare le preferenze e indebolire il premio di maggioranza. Si tratta di progetti che potrebbero avere il via libera anche del Nuovo centrodestra, il che, naturalmente, metterebbe in difficoltà il segretario.
Il leader del Pd, infatti, non intende veramente strappare con la maggioranza, ma vuole allargarne il perimetro, che è cosa diversa. Piuttosto, sono i renziani a temere che il vero obiettivo dei bersaniani sia proprio quello di accollare al leader del Pd la colpa dello strappo, inducendolo a farlo con il loro «ostruzionismo strisciante», e addossandogli a quel punto la responsabilità della rottura della maggioranza e della caduta del governo.
Insomma, quella elettorale può trasformarsi per il segretario in una materia incandescente, anche perché alla Camera sulla riforma si può votare a scrutinio segreto. Per questo c’è chi gli suggerisce — finora inascoltato — di procedere spedito sul Mattarellum senza scorporo. Ma Renzi è convinto che ci voglia troppo tempo per ridisegnare i collegi.
Maria Teresa Meli


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