A Davos la crisi delle élite

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Con­ti­nue­ranno fino a sabato a Davos, nella loca­lità scii­stica sviz­zera, i lavori del Forum eco­no­mico mon­diale. 2.500 ban­chieri e diri­genti di impresa, con poli­tici e qual­che star, si sono dati il com­pito mode­sto di «Rimo­del­lare il mondo: con­se­guenze per società, poli­tica ed eco­no­mia». L’obiettivo è quello di dire al mondo che la crisi è finita e quindi si può final­mente discu­tere di quale cre­scita e svi­luppo c’è biso­gno per cam­biare la società. Un otti­mi­smo forse esa­ge­rato, che sin dalle prime bat­tute degli incon­tri è stato messo in discus­sione. Sono state pro­prio figure di primo piano del gotha della finanza mon­diale a smor­zare gli entu­sia­smi: dal capo della Ubs sviz­zera, Axel Web­ber, che ha invi­tato a non stare tran­quilli per la crisi euro­pea, agli stessi orga­niz­za­tori del forum che, nono­stante l’ottimismo cre­scente dei capi­tani di impresa boc­ciano, le poli­ti­che eco­no­mi­che dei lea­der del pia­neta come poco effi­caci e i lea­der stessi per­ché fra­gili ed inca­paci di osare.

In diversi con­cor­dano che per rilan­ciare l’economia mon­diale ben poco potranno fare le realtà emer­genti nel suo insieme e la ripresa dovrà pas­sare per forza per le «vec­chie» potenze. Non a caso ad aprire il ver­tice è stato il pre­mier giap­po­nese Abe, che ha rilan­ciato la sua cura da cavallo espan­siva per l’economia del paese, da due decenni afflitto da sta­gna­zione eco­no­mica e defla­zione. Un monito forte per i paesi euro­pei, che rischiano la man­cata ripresa e una defla­zione sul modello giap­po­nese. Sul banco degli impu­tati l’Italia, anche se il mini­stro Sac­co­manni ha pale­sato anche a Davos un poco giu­sti­fi­cato otti­mi­smo. Da più parti si chiede che l’Europa, oltre al con­so­li­da­mento fiscale – l’austerità – fac­cia di più in ter­mini di riforme strut­tu­rali, a par­tire da mag­giore fles­si­bi­lità nel mondo del lavoro, vista come unica soli­zione per far fronte alla disoc­cu­pa­zione dila­gante. Nel frat­tempo le spe­ranze sono tutte negli Stati Uniti,anche se in con­co­mi­tanza con l’apertura del Forum inat­tese nuvole nere si sono adden­sate su Washing­ton. La richie­sta urgente rivolta al Con­gresso dal segre­ta­rio del Tesoro Usa di innal­zare il tetto del debito pub­blico ancora una volta, fa capire la distanza dalla fine della crisi. Cer­ta­mente deci­dere quanto debito si vuole avere, fuori dal giogo dei para­me­tri euro­pei, è un gran van­tag­gio, ma in molti si chie­dono per­ché si ripre­senta così pre­sto l’urgenza che aveva por­tato ad uno stallo l’intera ammi­ni­stra­zione fede­rale lo scorso otto­bre, addi­rit­tura con un mese di anti­cipo rispetto a quanto pro­gram­mato. La ripresa Usa potrebbe essere solo vir­tuale e non reg­gere mai, se l’indebitamento pub­blico e le poli­ti­che espan­sive mone­ta­rie della Fed non continueranno.

Il 2014 sarà anno di ele­zioni, sia in Europa sia, di «mezzo ter­mine», negli Usa. Forse è que­sto che pre­oc­cupa Davos: si teme che la vera sfi­du­cia nei con­fronti delle elite glo­bali si tra­sformi in oppo­si­zione all’austerità e alle riforme strut­tu­rali. La ripresa senza nuovi posti di lavoro che si pro­fila nel 2014 — una situa­zione «orri­bile« per l’Europa, per l’economista Ken Rogoff — rischia di pre­giu­di­care il futuro e aumen­tare la con­flit­tua­lità sociale, pro­prio quando i livelli di disu­gua­glianza hanno rag­giunto il picco. E a Davos è stato ricor­dato che 85 pape­roni più ric­chi del pia­neta pos­sie­dono una ric­chezza pari a quella della metà più povera di ben 3,5 miliardi di per­sone. Una situa­zione esplo­siva, che pre­oc­cupa al pari dei con­flitti militari.

Per la prima volta l’emergenza siriana irrompe al Forum, come i timori per l’escalation tra Cina e Giap­pone, l’instabilità in Ucraina, ed i con­flitti nella regione afri­cana. Mar­tin Wolf del Finan­cial Times – neo­li­be­ri­sta pen­tito – ha intro­dotto l’evento di Davos con un paral­lelo sto­rico di quelli forti: il 2014 sarà il cen­te­simo anni­ver­sa­rio dello scop­pio della prima guerra mon­diale. Come nel 1914, oggi le elite eco­no­mi­che e poli­ti­che stanno fal­lendo nel dare una rispo­sta alla crisi strut­tu­rale che si pre­senta, per­ché ancora inva­sate di un’ideologia (libe­ri­sta) fal­li­men­tare. La sto­ria ci dice che que­sti fal­li­menti pos­sono gene­rare mostri. Wolf però non si chiede cosa esi­ste oggi oltre que­ste elite fal­li­men­tari e quali contro-poteri potreb­bero evi­tare i disa­stri della storia.


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