Ex Ilva di Taranto. Incomprensione tra ministero e ArcelorMittal

Ex Ilva di Taranto. Incomprensione tra ministero e ArcelorMittal

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Torna a generare polemiche tra la multinazionale ArcelorMittal e il ministero dello Sviluppo economico la vicenda dell’ex Ilva di Taranto. Questa volta sembra più una diatriba dialettica legata all’utilizzo di termini ambigui e a una tempistica di annunci sbagliata, che un vero scontro tra azienda e ministero.

A generare il qui pro quo, una dichiarazione di Aditya Mittal, figlio di Lakshmi Mittal (fondatore del colosso industriale), presidente e Chief financial officer della multinazionale, durante la conference call da Londra sui conti semestrali del gruppo. Rispondendo a una domanda sulla complessa situazione del siderurgico di Taranto, ha ribadito che senza le giuste garanzie legali in merito all’aspetto ambientale, a settembre il gruppo potrebbe riconsegnare la gestione degli impianti, di cui al momento è ancora affittuario, all’amministrazione straordinaria.

Allo stesso tempo, però, si è dichiarato fiducioso in quanto il governo starebbe lavorando a un provvedimento ad hoc, per il ripristino dell’immunità, anche se non è stato ancora reso noto quando il tutto diventerà legge. Durante la conference call, Mittal ha utilizzato il termine «immunity» intendendo più propriamente il concetto inglese di «tutela legale», più che l’italiano immunità che ha tutt’altro significato. Ma è bastato che tutte le agenzie di stampa, italiane e straniere, ribattessero la dichiarazione per creare il nuovo caso sull’ex Ilva. Immediata la smentita del Mise. Attraverso alcune fonti ha dichiarato: «Non esiste alcun provvedimento per il ripristino dell’immunità: come più volte ribadito si vuole intervenire esclusivamente sull’attuazione del piano ambientale nel più breve tempo possibile. Non esisterà mai più alcun scudo penale per morti sul lavoro e disastri ambientali. Ogni altra dichiarazione non corrisponde al vero». A ruota è arrivato il «cinguettio» su twitter del vicepremier Di Maio: «A Taranto abbiamo abolito l’immunità penale che aveva introdotto il Pd. Proteggeva chi gestiva quello stabilimento anche in caso di responsabilità da morti sul lavoro o disastri ambientali. Oggi qualcuno ha detto che l’immunità tornerà. È falso».

Per stemperare gli animi, una stringata nota della multinazionale ha poi ribadito di chiedere soltanto «la necessaria tutela giuridica per poter continuare ad attuare il proprio piano ambientale, fiduciosa che si troverà una soluzione». Del resto, nelle scorse settimane, era stato proprio il Mise a ribadire come si stesse lavorando a una norma che chiarisse la vicenda dell’immunità penale, dopo l’approvazione dell’articolo 46 del decreto Crescita, con il quale si andava a riscrivere la norma prevista dalla legge «salva Ilva» del 2015, in vigore sino al prossimo 6 settembre.
La situazione del siderurgico resta molto complicata. Mercoledì il giudice del Tribunale di Taranto ha respinto l’istanza presentata dai Commissari straordinari di Ilva in AS accolta dalla Procura, nella quale veniva chiesto lo stop alla fase di spegnimento dell’altoforno 2, avviata lo scorso 9 luglio, e la possibilità di ottemperare nell’arco di sei mesi alle prescrizioni imposte nel 2015 all’azienda.

Il problema è tecnico: secondo l’azienda non è possibile realizzarle tutte, perché il custode giudiziario ha chiesto che le operazioni svolte dai lavoratori si realizzino in remoto tramite impianti automatici. Ma anche qui, senza intervento del governo, entro due mesi un altro altoforno cesserà la sua attività.

* Fonte: Gianmario Leone, IL MANIFESTO



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