Ebola, il caso del siero miracoloso “Ma ora via alla sperimentazione”

Ebola, il caso del siero miracoloso “Ma ora via alla sperimentazione”

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QUASI mille morti, e un siero “miracoloso” che avrebbe guarito un medico eroe. È la storia che sta tenendo col fiato sospeso l’America, mentre in Africa occidentale continua a diffondersi l’epidemia di ebola più grave mai registrata finora. Ma di “miracoloso”, avvertono gli scienziati, in questa faccenda c’è poco. C’è semmai una speranza per una malattia per cui non abbiamo ancora vaccini né terapie efficaci. Una speranza che oggi è tutta sulle spalle di Kent Brantly, in questo momento ricoverato in isolamento ad Atlanta, e nella fiala di una terapia che non era mai stata somministrata a un essere umano. Prima che si ammalasse lui.
Kent Brantly ha trentatré anni, è alto, biondo e ha gli occhi azzurri. È un medico profondamente religioso, che nell’ottobre scorso era andato a lavorare in Liberia con la Ong Samaritan’s Purse portandosi dietro moglie e due figli piccoli. Nelle ultime settimane aveva visto decine di pazienti morire per il virus dell’ebola ma aveva scelto di continuare a curarli nel piccolo ospedale di un sobborgo di Monrovia. Intanto le autorità sanitarie del mondo combattevano la loro guerra contro la malattia: «L’epidemia si sta muovendo più velocemente dei nostri sforzi per controllarla», ammetteva solo quattro giorni fa il direttore generale dell’Oms, Margaret Chan.
Finché non si sono ammalati anche Brantly e la collega sessantenne Nancy Writebol. Così, ha raccontato la Cnn, le autorità sanitarie americane hanno dato l’approvazione per sottoporre i due a una terapia sperimentale che fino a oggi era stata provata solo su alcune scimmie. Come in un film, è stato proposto ai due medici americani di tentare il tutto per tutto. E i due hanno accettato.
Tre fiale di siero sono volate dalla California alla Liberia: al loro interno, un cocktail di tre anticorpi monoclonali umanizzati, cioè molecole capaci di puntare verso un bersaglio specifico del virus e di farlo distruggere dal nostro sistema immunitario. Nessun “miracolo”, ma il risultato dell’impegno di una società biotecnologica, che ha lavorato più di dieci anni su piante e animali ingegnerizzati, grazie a finanziamenti pubblici americani e canadesi.
Il farmaco si chiama ZMapp e i suoi risultati sulle scimmie sono stati resi noti nel 2012 sulla rivista scientifica Pnas e nel 2013 su Science Translational Medicine .
A gennaio scorso è stato considerato candidato alla terapia dell’ebola, ma ancora oggi manca la sperimentazione sull’uomo necessaria prima del commercio. Anche per questo la società biotecnologica produttrice ne dispone in quantità molto piccole.
Ed è a questo punto che Brantly diventa due volte eroe. Essendo più giovane e più forte, ha proposto che il farmaco andasse inizialmente alla collega. Poi però è stato lui a peggiorare rapidamente e ha ricevuto per primo la fiala di anticorpi, insieme a una sacca di sangue prelevato a un suo giovane paziente. E rapidamente ha cominciato a migliorare. Come racconta la Cnn «già il giorno dopo era in grado di farsi la doccia da solo». Da domenica è ricoverato ad Atlanta, mentre Nancy Writebol è stata rimpatriata lunedì dopo aver ricevuto lo stesso siero.
Adesso, sottolineano le autorità americane, si tratta di aspettare. Nonostante il sorprendente recupero di Brantly, ci vorranno ancora settimane prima di poterlo considerare guarito. Tutta la cautela del caso è nelle parole di Anthony Fauci, direttore del National Institute for Allergy and Infectious Diseases dei National Institutes of Health, che ha spiegato al Wall Street Journal come il successo del trattamento «non si possa dichiarare finché non avremo studi clinici su grandi numeri di pazienti».
Anche perché ci sono altre sperimentazioni in corso per possibili vaccini e terapie contro il virus ebola. E perché la questione etica è delicata. Brantly e Writebol hanno ricevuto un farmaco non approvato per l’uso umano, lo hanno ricevuto al di fuori degli Stati Uniti. E hanno avuto una scelta che nessun paziente africano ha avuto. Intanto, gli altri malati non possono far altro che affidarsi alle cure dei medici. E aspettare il vero “miracolo” del caso Brantly, cioè l’accelerazione delle ricerche (e la crescita dei finanziamenti) per una malattia troppo spesso dimenticata dal mondo occidentale.



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