Racket, abusivi e nuovi poveri la guerriglia per la casa che rischia di incendiare Milano

Racket, abusivi e nuovi poveri la guerriglia per la casa che rischia di incendiare Milano

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MILANO. NOVE di sera, freddo e buio. Il signor Giuseppe con un minuscolo cane al guinzaglio passeggia in via Segneri, un chilometro di case popolari sfrante e basse al Lorenteggio, quartiere tra i più a rischio del momento. Qualche rara parabolica da balcone, tapparelle slabbrate, due navate di costruzioni silenziose come se fossero abitate da fantasmi. L’ultimo fantasma, tremendo, è la denuncia di una donna di 37 anni che a Repubblica Tvaveva raccontato di essere stata colpita da un manganello della polizia negli scontri degli ultimi giorni. Era incinta, ventesima settimana. Ieri ha perso il bambino. Seguirà inchiesta, seguirà altra rabbia.
«Vendere la mia casa e andarmene dal Lorenteggio: ci ho pensato in questi giorni d’inferno. Ma chi vuole che me la compri, adesso?». Il signor Giuseppe, 64 anni, pugliese, è un ex operaio, pensione anticipata perché lavorava in una fabbrica esposta all’amianto. Trent’anni fa ha comprato qui tre locali, 57 metri quadri calpestabili. Ci vive con moglie e due figli, costretti in famiglia dai guadagni saltuari che rimediano. Giuseppe è un vecchio inquilino Aler, azienda lombarda edilizia residenziale, dove “residenziale” va inteso al contrario di “alta gamma”: un acronimo che rappresenta uno dei poli della bufera in corso. A scatenarla, il bisogno di un tetto, che la crisi ha moltiplicato e diffuso con la velocità di un virus, innescando una guerra tra poveri (regolari contro irregolari), con la criminalità a gestire gli spiccioli e gli antagonisti la ribalta anti-sistema. Più i politici che hanno messo il carico, pensando che a Milano tra un anno e mezzo si vota, e in Italia forse anche prima.
Dal pomeriggio di martedì 11 novembre, assalto di un manipolo di ribelli a una sede del Pd al Corvetto dove si discuteva proprio di case popolari, alla sera di venerdì 21, con il lutto di un bambino che non nascerà, le 11 giornate di Milano, tra furori di piazza e prove riuscite di guerriglia urbana, non stanno spaventando soltanto la città. E lo spavento continuerà. Ma perché tanto odio scoppiato all’improvviso visto che l’abusivismo è vecchio di almeno vent’anni? E come mai una giunta di sinistra come quella di Pisapia sembra essersi messa a fare cose di destra come sgombrare centri sociali o sbaraccare con la forza poveri disgraziati da alloggi altrettanto disgraziati?
Cominciamo dalla coda, cioè la periferia infiammata come un’ulcera. Basta scegliere: San Siro, Quarto Oggiaro, Calvairate, Corvetto, Giambellino. Oppure Lorenteggio, dove abita appunto il signor Giuseppe.
La strada dove si muove lento col suo bastardino Mico è illuminata come un cimitero. In giro, oltre a lui, ci sono agli angoli gruppetti di ragazzi con felpa scura e cappuccio sugli occhi. Odore di piscio, cancelli di ingresso agli stabili quasi tutti con la serratura spaccata, una possibilità di parcheggio infinita e irreale per Milano. Giuseppe indica una macchina rossa e lucida, un’Audi A4 berlina. «La vede? Quella, mi scusi, forse non potrebbe permettersela neanche lei». E comincia a parlare di rom che hanno invaso la via, che se li cacciano e mettono le lastre di ferro alle porte, tornano e le sfondano. «Sono gli stessi che si erano presi la palazzina giù in fondo, dove è crollato un balcone quest’estate, neanche un morto, no». Fissa l’asfalto. «L’altra sera hanno fatto la fiaccolata per il diritto alla casa, lo chiamano così, di chi ha rubato il posto a qualche altro povero cristo, e in più non paga un euro. Li ho visti sfilare, mi venivano le lacrime ». Le lacrime del signor Giuseppe sono uguali e opposte a quelle di migliaia di italiani o stranieri: «Non è che ho voluto prendermi uno di questi appartamenti perché sono una criminale, è che non ce la faccio più a pagare». Piuttosto che senza tetto, meglio senza legge.
Una casa assegnata da Comune o Regione è in media tra i 40 e i 60 metri quadrati, con affitti intorno ai 100 euro più 200 di spese, tra riscaldamento, portierato, pulizie. Per molti è troppo, per moltissimi non è neanche un problema perché la casa non ce l’hanno e allora pagano qualcuno dei racket rionali per procurargliela. Quelli vanno, buttano giù una porta per 500 o 1000 euro dipende (dentro ci può essere un’anziana che è andata in ospedale o nessuno perché l’alloggio non ha i requisiti per essere assegnato), quindi te la consegnano. Quanto all’eventuale affitto, lo pagano 5 su 10, e non tutto.
Ci sono due Milano, la testa e la coda. La testa, per esempio, è il grattacielo appena premiato come il più bello del mondo, il Bosco verticale di Stefano Boeri, da uno ai dieci milioni di euro se si vuole abitare tra gli alberi alla Tarzan. La coda è avvoltolata come quella dei gatti intorno al corpo della metropoli più ricca d’Italia e sta prendendo fuoco. La riunione annunciata per oggi, sabato 22 novembre, della polverizzata ma bellicosa galassia dei centri sociali, dedicata proprio al tema del «contrattacco allo Stato repressivo», non promette esiti distensivi. Né ha disteso il clima la ritrovata convergenza leghista tra Maroni e Salvini, con il primo ad annunciare 200 sgomberi in una settimana e il secondo a reclamare l’intervento dell’esercito. Proposte temerarie, non foss’altro perché la Lega è maggioranza in Regione Lombardia da vent’anni e l’Aler, che gestisce i due terzi degli alloggi popolari a Milano (l’altro terzo è del Comune), è proprio una società della Regione e il suo presidente Gian Valerio Lombardi è stato nominato appunto da Maroni, che già lo fece prefetto di Milano quand’era ministro dell’Interno.
«La cosa che stupisce», dice Daniela Benelli, assessore alla Casa del Comune, «è che gli sgomberi in flagranza, cioè di occupazioni recenti, li facciamo da sempre. Solo quest’anno, da gennaio a fine ottobre, ce ne sono stati 170, circa 6 la settimana, senza proteste né incidenti, e con la garanzia, specie per i madri con bambini o in attesa, di un letto e un tetto altrove. D’improvviso, a cominciare da novembre, le forze dell’ordine si sono trovate contro abusivi più centri sociali, sassi e bastoni. Strano, no, tutto d’un colpo? Che poi sul territorio ci sia una bomba, e l’Aler ne porta tanta responsabilità, bastano i numeri per capirlo».
A fronte di 75.688 alloggi popolari assegnati a inquilini regolari, record italiano, una città nella città che ospita oltre 200 mila persone (praticamente tutta Brescia o Taranto), ci sono 9.754 appartamenti vuoti ancora da assegnare (ma prima vanno ristrutturati e messi a norma secondo le nuove disposizioni europee, e ci vogliono i soldi per farlo, e i violenti tagli del governo ai comuni non aiutano), più 4.162 occupazioni abusive (nel 2009 erano 3.366, l’anno scorso 3.532, il trend è chiarissimo). E fuori da questo castello, preme una lista d’attesa di 22 mila famiglie, che andrà ad ingrossare di almeno 3 o 4 mila casi l’anno: sono gli sfratti da contratti pri- vati per morosità, ormai il 95 per cento del totale, gente che non riesce più a pagare i canoni richiesti dal mercato. «Un problema di fortissimo disagio sociale prima che di ordine pubblico. Quindi niente blitz», ha stabilito nei giorni dell’ira il prefetto Francesco Paolo Tronca. Ha però subito rilanciato il consigliere comunale leghista Lepore: le nuove assegnazioni vanno più agli immigrati. «Vero, 54 per cento», risponde l’assessore Benelli. «Immigrati in regola, che pagano le tasse, caduti nella fascia degli ultimissimi e quindi davanti per legge».
La legge sta molto a cuore anche a una ragazza magra e alta di 26 anni, Giulia Crippa, nipote di Lucia Guerri. «Sono per il rispetto delle regole e per il rispetto dell’altro. La casa è sì un diritto ma anche un dovere». Negli anni ‘90 la nonna di Giulia ha fondato il primo Comitato di quartiere San Siro, contro il degrado delle case Aler e le occupazioni abusive. Lei continua la battaglia, tra l’altro in una zona dove è più alto il numero di lotti sfitti e quindi più deciso l’assalto di antagonisti e crimine. «I primi mettono dentro gente per bisogno, non vogliono soldi. Il racket invece sì. Il bar Diamante in via Civitale, quello con l’insegna rosa, è una specie di agenzia immobiliare, come i giardini di via Selinunte: vai lì, chiedi, e se paghi provvedono loro. Anche dove abitiamo con la nonna ci hanno provato: c’erano sei alloggi vuoti, siamo scese, solo donne, li abbiamo mandati via». Mai paura? «Ho rabbia, che è diverso. Si sa chi sono i delinquenti, cosa succede in certi cortili, spaccio, prostituzione, qualcuno ci macella le capre. A una signora araba hanno messo la croce bianca sulla porta e poi gliel’hanno incendiata perché aveva denunciato degli abusivi. Io sono 6 anni che ho fatto domanda di un alloggio, aspetto ancora».
Giuliano Pisapia è passato dall’esondazione del Seveso al fuoco delle periferie, oltre alle accuse di aver cambiato registro. «Chi occupa toglie un diritto a un altro che l’ha maturato. Comunque, quando si fanno gli sgomberi, il Comune offre sempre una sistemazione alternativa. Molti non accettano, forse si fanno influenzare dal racket. Combatteremo di più e meglio questa criminalità. Ma pensare solo alla repressione significa aumentare la tensione». Aumenta lo stesso: stanno arrivando anche i No Tav a dar man forte ai No Expo e adesso ai No sgomberi. «Dei due centri sociali chiusi ho saputo dai giornali, la decisione viene presa dal Comitato per l’ordine e la sicurezza. Più in generale, sono preoccupato anch’io, e non solo per Milano. Salvini cavalca ogni tigre, è facile farlo, ma non aiuta a risolvere i problemi». E quello disperante della casa popolare a Milano, come si risolve? «Come Comune davamo 10 milioni di euro l’anno all’Aler e non abbiamo mai toccato palla. Adesso abbiamo cambiato partner, MM, un’agenzia di ingegneria che lavora anche per la metropolitana. Partiremo dal primo dicembre con segnali concreti: telecamere, manutenzione, prevenzione ».
Si sono fatte le 10 di sera, il signor Giuseppe, ex operaio scottato dall’amianto e inquilino Aler, risale via Segneri con Mico stanco e infreddolito accanto. Scuote la testa davanti a un manifesto: «La casa è un diritto, l’affitto una rapina». Ricorda quanto aveva pagato il suo appartamento nel 1985: 45 milioni di lire, più quelli per ristrutturarlo. È abbastanza in pace con tutti, tranne che coi rom. «Al Lorenteggio non fanno danni. Prendono il treno in piazza Tirana e vanno a fottere da qualche altra parte». A parte loro? «Per metà siamo italiani, metà il resto, si sta bene». Prende in braccio il bastardino prima di salire e lo sfrega per riscaldarlo. «Sa, c’è tanta gente brava in queste strade, ma prima o poi si muore. E la gente brava diminuisce sempre di più».


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