Anche Juncker diventa ostaggio dei tedeschi

Anche Juncker diventa ostaggio dei tedeschi

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BRUXELLES Un borbottio imbarazzato dalla Francia, un mormorio dall’Italia, qualche sospiro dall’Irlanda. Ma il tuono che viene dalla Germania — il «no» minacciato alla richiesta condizionata d’aiuto firmata da Atene — zittisce tutto il resto e dice che qualcosa di mai visto prima sta avvenendo: uno dei 28 Paesi membri dell’Unione Europea, teoricamente pari a tutti gli altri, ridisegna secondo i suoi criteri il principio fondante dell’Ue, la solidarietà comunitaria. Può darsi benissimo che Berlino abbia ragione, nel farlo, e che la diffidenza verso Alexis Tsipras sia giustificata. Berlino ha anche l’autorevolezza per parlare con certi toni: lo hanno appena confermato le statistiche sui suoi 43 milioni di lavoratori occupati, cifre siderali rispetto alla desolazione media dell’Ue. Ma intanto, la bocciatura tedesca del compromesso alla greca – «non è una proposta sostanziale per una soluzione» –ha preceduto fragorosamente il parere di tutti gli altri governi, bloccando la strada di ogni possibile opinione diversa. Ed entrando direttamente in linea di collisione con la stessa Commissione Europea. Poco prima il suo presidente, Jean-Claude Juncker, aveva infatti affidato ai portavoce un parere ben più possibilista di quello tedesco, spiegando di vedere «in questa lettera da Atene un segno positivo che potrebbe spianare la via a un ragionevole compromesso, nell’interesse della stabilità finanziaria dell’intera zona euro». I pareri diversi hanno pieno diritto di cittadinanza, anche a Bruxelles, ma i trattati europei non prevedono che questo o quello Stato possa tracciare il solco da solo, davanti a tutti gli altri. A tarda sera, da Atene filtra la voce di una telefonata «costruttiva, svoltasi in un clima positivo» fra Alexis Tsipras e Angela Merkel. Nel linguaggio delle cancellerie, questi aggettivi –«costruttivo», «positivo» – significano molto spesso l’esatto contrario. Ma può anche darsi che stavolta riflettano una situazione reale, e un dialogo che si rianima faticosamente. Lo capiremo oggi, nel vertice di Bruxelles. In ogni caso, però, la questione Germania resta, come un gigantesco punto interrogativo davanti ai leader della Ue. C’è un presidente tedesco al Parlamento europeo (Martin Schulz), c’è un presidente lussemburghese ma fedelissimo alla signora Merkel che dirige la Commissione europea (Juncker, appunto), ci sono governi popolari di centrodestra (almeno per ora e «Podemos» permettendo) che da Madrid e Lisbona affiancano in ogni mossa la cancelliera, e ci sono i comunicati berlinesi che da due o tre anni guidano passo passo l’intero negoziato Atene-Bruxelles: tutto questo rende cento volte più ingombrante il «nein», il «no» minacciato a Tsipras sul piano di salvataggio Ue; e nello stesso tempo rende più evidente l’imbarazzo dei vertici europei. «La Ue si è trasferita a Berlino? Matteo Renzi e François Hollande reagiscano» protesta dall’Italia il presidente della Commissione bilancio della Camera, Francesco Boccia. Nessuno giunge a paventare vecchie suggestioni alla «Deutschland über alles», la Germania sopra tutti. Ma la situazione di oggi può essere ben descritta da una riflessione di Konrad Adenauer, cancelliere predecessore della Merkel oltre 60 anni fa, uno dei padri fondatori dell’Ue: «Viviamo tutti sotto il medesimo cielo, ma non tutti abbiamo lo stesso orizzonte».

Luigi Offeddu


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