La strategia del Viminale Due caserme al Nord per la prima accoglienza

La strategia del Viminale Due caserme al Nord per la prima accoglienza

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ROMA La «mazzata» dell’Unione Europea arriva mentre ci si appresta a fronteggiare una nuova emergenza. Perché oltre un migliaio di migranti sbarcherà oggi sulla coste italiane e tra loro ci sono 40 bambini, dieci hanno meno di un anno. La linea ufficiale è quella di minimizzare nella speranza che un’intesa possa essere raggiunta. Ma c’è la consapevolezza che alla fine nessun aiuto concreto arriverà dagli Stati membri e dunque bisogna attrezzarsi, prepararsi ad affrontare un flusso che con il trascorrere delle ore può diventare drammatico. Le notizie che arrivano dalla Libia assicurano che gli scafisti sono ormai determinati a riempire pescherecci e gommoni, le stime realistiche parlano di almeno duecentomila persone già ammassate nei porti e sulle spiagge in attesa di partire.
Le caserme
L’ipotesi sempre più probabile è che alla fine si sarà costretti a utilizzare le caserme. Le prime due sono state individuate: una in Lombardia, una in Veneto. Proprio in quelle Regioni dove i governatori stanno facendo muro rispetto al trasferimento degli stranieri approdati nell’ultima settimana nei porti del Sud. Il Viminale non arretra, ieri sono state aggiornate le quote di destinazione ed è stato aumentato il numero dei profughi da assistere al Nord. In Lombardia vanno 520 persone, 735 arrivano in Veneto, 485 in Piemonte mentre rimangono uguali le cifre nel resto d’Italia. Ancora per poco. Già la prossima settimana il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, potrebbe dare indicazioni per l’emissione di una nuova circolare con il reperimento di altri posti. E se la situazione dovesse degenerare non si esclude di arrivare addirittura alla requisizione delle strutture, sia pur ritenendo che sia l’ultima eventualità.
L’ordine pubblico
La strategia prevede di dare il minimo risalto ai piani di trasferimento per evitare di dover scortare i pullman addetti al trasferimento dei migranti. O di dover prevedere servizi di sorveglianza nei luoghi dove vengono alloggiati. Quale sia la situazione si comprende bene ascoltando le parole del sindaco di catania Enzo Bianco, che è anche presidente del Consiglio nazionale dell’Anci, l’Associazione dei Comuni, quando sottolinea «la situazione delicata del Cara di Mineo che è al limite della capienza e nel quale sarebbe assurdo continuare a portare persone, anche tenendo conto delle carenze della struttura emerse nel corso delle indagini. E non tralasciando il rischio di dover destinare una parte significativa delle forze polizia alla vigilanza della struttura, finendo così per distoglierla dai suoi normali compiti». Un problema che non riguarda solo la Sicilia, ma tutte le altre aree del Sud dove è continuo il flusso di arrivi e partenze.
La distribuzione
Il clima di tensione si è aggravato con il trascorrere delle ore, alimentato dal fronte del «no» degli amministratori locali che continua ad allargarsi e dai timori di quello che potrà accadere nelle prossime settimane.
Nessuno si era illuso che dall’Ue potessero arrivare soluzioni definitive, anzi. Il piano in discussione veniva ritenuto molto limitato, le condizioni imposte dagli Stati contrari alla distribuzione per quote avevano vanificato la possibilità che tutta l’Europa affrontasse insieme la situazione di emergenza. Ma la decisione di portar via 40.000 persone, 24.000 dall’Italia e 16.000 dalla Grecia, rappresentava comunque un «alleggerimento» e veniva ritenuto un segnale importante perché metteva in discussione il trattato di Dublino, la regola secondo cui i richiedenti asilo devono rimanere nel Paese del primo ingresso fino al completamento della procedura per stabilire l’esistenza dei requisiti per ottenere lo status di rifugiati. Nulla di tutto questo invece accadrà.


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