Piombino prova a ripartire dall’acciaio “Ma forse è solo una grande illusione”

Piombino prova a ripartire dall’acciaio “Ma forse è solo una grande illusione”

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PIOMBINO. «Ho quasi cinquant’anni, una moglie e un figlio. Lavoravo alla manutenzione dell’altoforno. Poi l’azienda ha chiuso e adesso tiriamo avanti con i 758 euro al mese dell’indennità di disoccupazione, che tra poco diventeranno 525. A maggio finiranno pure quelli… Il mio figliolo si è diplomato, ma non ci possiamo permettere di fargli continuare gli studi, ora si metterà anche lui a cercare lavoro». Daniele passeggia, mani in tasca, davanti ai palazzoni scrostati del “Cotone”, il vecchio quartiere operaio di Piombino. Gli operai ormai non ci abitano più, se ne sono andati tutti anno dopo anno. Ora ci sono le famiglie degli extracomunitari e i pochi, anziani piombinesi rimasti. Nei periodi d’oro della fabbrica, quando le tute blu erano ottomila, dallo stabilimento usciva il rombo cupo della colata e se c’era lo scirocco, le donne correvano a togliere i panni stesi per salvarli dal fumo sporco della cokeria. Adesso, lì a un passo, il gigante di lamiera è silenzioso. Ma respira ancora. Simbolo con l’Ilva di Taranto del declino dell’acciaio italiano. Un intero mondo che rischia di scomparire per sempre.

Daniele lavorava in una delle aziende dell’indotto, che ha chiuso quando, nel 2014, si è fermato l’altoforno di Aferpi, la ex Lucchini. Il suo futuro, come quello dell’altro migliaio di operai dell’indotto e soprattutto dei 1480 dipendenti di Aferpi che lavorano in solidarietà e dei 719 ancora (per poco) sotto l’ala del commissario straordinario, è nelle mani di un signore algerino che ha rilevato la fabbrica due anni fa: Issad Rebrab, tra i dieci uomini più ricchi d’Africa, un impero nell’agroindustria e negli elettrodomestici, e interessi estesi dall’Europa al Sudamerica. Si presentò a Piombino, nel dicembre del 2014, annunciando un piano industriale da un miliardo di euro, con il rilancio dell’acciaieria e una diversificazione nell’agroindustriale e nella logistica: prevista la costruzione di due forni elettrici, eredi dell’altoforno, per alimentare i laminatoi, famosi in particolare per la produzione di rotaie di alta qualità . E sul fronte occupazionale l’impegno a riassorbire l’intera forza lavoro, promettendo anche ulteriori assunzioni.

Ad oggi, però, il progetto – sul quale hanno messo la faccia governo, sindacati e enti locali – è in palese ritardo: è stata ultimata solo la progettazione di un forno; i vecchi laminatori producono a fasi alterne, quando ci sono i soldi per comprare i semilavorati; agroindustriale e logistica non sono partiti. A novembre rientreranno in fabbrica i settecento lavoratori che sono ancora nella gestione commissariale: si aggiungono agli oltre 1480 già in Aferpi, ma lavoreranno tutti in regime di solidarietà che scadrà nel 2019 con il rischio, visto lo slittamento del rilancio, di un buco nella copertura degli ammortizzatori sociali. Rebrab ha investito 92 milioni, poi tutto si è complicato perché il nuovo governo algerino gli ha bloccato in patria i fondi, considerandolo un pericoloso oppositore. E’ iniziata così la ricerca di finanziamenti bancari, non solo a sostegno dell’intero piano industriale (se ne sta occupando la Equita di Alessandro Profumo), ma anche per disporre del circolante indispensabile all’attività dei laminatoi.

Insomma, una partita a poker ormai all’epilogo: entro dicembre ogni giocatore dovrà scoprire le proprie carte e allora si capirà se qualcuno ha bluffato. L’azienda continua a confermare gli impegni, ma nelle parole dei manager di Aferpi c’è un paradosso: dal fronte bancario sarebbero arrivate manifestazioni di interesse per il finanziamento del piano industriale (si parla di 500 milioni solo per la parte relativa all’attività siderurgica), nel contempo però si fatica a trovare credito da poche decine di milioni per il circolante. Qualcuno sospetta un complotto dei concorrenti di Aferpi, i siderurgici del Nord.

«Continuiamo a credere nel progetto – dice Teresa Bellanova, viceministro dello Sviluppo Economico – è ora però che Rebrab metta altri soldi, arrivando almeno a 140 milioni, e che le banche facciano uno sforzo in più». La Bellanova alla possibilità del naufragio non vuole neanche pensare. Ma, certo, il rischio c’è. «Se salta tutto – dice Mauro Faticanti, coordinatore Fiom per la siderurgia – non resterebbe che l’intervento dello Stato con la Cassa depositi e prestiti».

A Piombino, però, non si è persa la fiducia, con i sindacati locali che pensano sempre positivo. Magari perché non esistono alternative a Rebrab: «Qui viviamo in emergenza dal 2008 – dice il segretario Fiom, Luciano Gabrielli -Tra lavoratori dell’acciaieria e indotto, sono in ballo oltre tremila posti di lavoro, in un territorio di trentamila abitanti. C’è paura, non disperazione, e guardiamo a Rebrab perché solo lui ha puntato davvero sulla fabbrica». Anche il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, continua a credere nell’algerino: «Ha problemi politici in patria, ma è un imprenditore affidabile. Ha messo 92 milioni in Aferpi, ha assunto tutti i lavoratori: non vedo alternative e il nuovo porto sarà un volano decisivo».

Tra gli operai emergono le tante anime della fabbrica. I lavoratori di “Camping Cig”, minoranza sindacale, manifestano nel loro presidio permanente fatto di tende e banchetti: «Ci hanno trattati da “gufi”, da disfattisti – hanno detto dopo un’audizione in Comune dell’ad della Aferpi, Fausto Azzi – ma noi vogliamo solo una risposta convincente». E’ preoccupato anche l’operaio Graziano Martinelli, in acciaieria da più di trent’anni: «Vedo troppa fiducia in giro, è come se avessero distribuito massicce dosi di bromuro: qui non ci si rende conto che può saltare tutto, perché Rebrab fin dall’inizio si è presentato con un piano vago ed ancora deve mettere veramente i soldi. Ha assunto tutti, è vero, ma c’è la solidarietà e si lavora poco».

Il confine tra il niente e il poco è nella strada che divide il “Cotone” dalla fabbrica, le vecchie palazzine operaie dal gigante di lamiera che respira piano. Ma respira ancora.

 

 

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