Elezioni francesi- L’ondata dei debuttanti di Macron

Elezioni francesi- L’ondata dei debuttanti di Macron

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PARIGI Un francese su due non ha votato. Chi lo ha fatto ha punito i partiti tradizionali, moderati, di destra e di sinistra, e pure le ali estreme.

È intanto questa per adesso la «Rivoluzione» promessa da Emmanuel Macron già dal titolo del suo libro. Il sistema politico francese è travolto da un movimento nato un anno fa, passato in pochi mesi da zero a 365 mila aderenti, un soggetto politico che si è posto al centro — dove nessuno in Francia aveva mai vinto — e da lì si appresta a conquistare quasi tutta l’Assemblea nazionale: da 400 a 445 seggi su 577 secondo le proiezioni, la maggioranza assoluta (che scatta a 289) è largamente assicurata.

Ancora a marzo gli avversari di Macron, e non pochi osservatori, mettevano in guardia i francesi dall’eleggere un presidente giovane e apparentemente privo di un partito capace di sostenerlo in Parlamento. Al primo turno delle elezioni legislative, La République En Marche (Lrem) non solo si è imposta come la prima formazione del Paese (oltre il 32% dei voti), ma con proporzioni tali da scatenare allarmi sul nascente partito unico, che ha deciso di mandare in Parlamento centinaia di donne e uomini mai eletti prima, in omaggio alla parola d’ordine del «rinnovamento della politica».

Vedremo dopo il ballottaggio di domenica prossima la ripartizione precisa dei seggi all’Assemblea nazionale. Ma intanto, ieri, i francesi o non hanno votato o hanno votato in stragrande maggioranza per dare a Macron tutti gli strumenti per governare. Una vittoria simile si è vista raramente, bisogna risalire al 1993 quando la coalizione di destra formata da RPR e UDF ottenne 472 deputati.

«Per la terza volta consecutiva — ha detto il premier Édouard Philippe rivolgendosi in tv ai francesi — siete stati milioni a mostrare attaccamento al progetto di rinnovamento e di riconquista del presidente della Repubblica. Da un mese, la Francia è tornata».

L’astensione ha finito per aiutare Lrem, perché in molti casi ha impedito la qualificazione al ballottaggio di candidati arrivati terzi o quarti ma incapaci di superare, proprio a causa dell’astensione, la soglia fissata dalla legge al 12,5% degli iscritti al voto. Al secondo turno, i candidati di Macron potranno spesso contare sul trasferimento dei voti degli elettori di sinistra, quando c’è da battere un avversario di destra; su quelli di destra quando l’avversario è di sinistra, e sul «fronte repubblicano» quando c’è da fare sbarramento al Front National. In tutte le configurazioni si finisce per votare Macron, «un meccanismo politico stupefacente, che andrebbe brevettato», dice il politologo Dominique Reynié.

L’astensione però, allo stesso tempo, provoca un’indubbia e paradossale carenza di legittimità: la prossima maggioranza parlamentare sarà stata scelta da una minoranza di elettori francesi.

La destra dei Républicains (21,5%) ottiene da 85 a 125 seggi ed è il secondo partito, ma il suo peso è ulteriormente dimezzato rispetto alla sconfitta del 2012 e soprattutto appare scarsa la capacità di fare opposizione a un governo in cui premier e altri ministri importanti sono stati cooptati dai suoi ranghi.

Per i socialisti (10% e 30-40 seggi) è un tracollo senza precedenti, il segretario Jean-Christophe Cambadélis, peraltro battuto nella sua circoscrizione, dice che «non è sano affidare al presidente il quasi monopolio della rappresentanza politica».

Stefano Montefiori



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