Cecchini e raid israeliani su Gaza: uccisi quattro ragazzi palestinesi

Cecchini e raid israeliani su Gaza: uccisi quattro ragazzi palestinesi

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Il Cairo media, il premier Netanyahu minaccia: basta aquiloni incendiari

Le donne piangono, si portano un fazzoletto al volto per asciugare le lacrime; gli uomini trasportano il corpo di Othman dalla casa di famiglia alla moschea. Ieri mentre a est di Gaza City si celebravano i funerali di Othman Rami Heles, 15 anni, colpito da un cecchino israeliano venerdì, all’Ospedale Europeo di Khan Younis si spegneva Mohammed Nasser Sharab, 18 anni. Anche lui centrato da una pallottola il giorno prima, durante la Marcia del Ritorno. Iniziata il 30 marzo non è mai finita.

Come non finisce la conta delle vittime: sale a 139, 14mila i feriti, un massacro di manifestanti che non rappresentano pericoli per la vita dei soldati israeliani (a riprova, dal 30 marzo, oltre 100 giorni, non si sono registrati feriti né tra i militari né tra i civili israeliani).

Ma ieri Gaza piangeva altre vittime, altri due adolescenti: Amir al Nimra, 15 anni, e Louai Khail, 16, sono rimasti uccisi in uno dei 45 bombardamenti israeliani sulla Striscia. Sono morti in piazza al-Katiba, a Gaza City. All’orizzonte, l’ennesima escalation militare: la giornata di ieri è stata la peggiore dal 2014.

Alle proteste di venerdì e al lancio di aquiloni incendiari, l’esercito israeliano ha risposto nella notte con una trentina di raid aerei su postazioni di Hamas. La reazione è stata immediata: tra l’alba e il pomeriggio di ieri sono stati lanciati oltre 60 missili verso il territorio israeliano attivando per 130 volte le sirene di allarme tra Ashkelon e Eshkol e ferendo tre israeliani vicino una sinagoga, mentre si intensificavano i raid di Tel Aviv: secondo l’aviazione sono stati colpiti tunnel, magazzini di armi, campi di addestramento e centri logistici di Hamas, oltre al quartier generale di Beit Lahia.

Per tutto il giorno, a est e a sud ma anche lungo la costa, la Striscia è stata bombardata, terrorizzando la popolazione, che in 10 anni ha subito tre pesanti offensive: il ministero della sanità ha decretato la massima allerta e il governo ha avvertito di non uscire se non necessario.

Nel mirino anche il Katiba Building, palazzo governativo ormai deserto a Gaza City, già danneggiato nel 2014 e dove sono stati uccisi i due giovani: la piazza è ritrovo di bambini che giocano, famiglie a passeggio

Il bilancio parla anche di una ventina di feriti, che si aggiungono ai migliaia di questi tre mesi e mezzo, un peso enorme per Gaza sotto assedio e con il blocco che si stringe ancora: da venerdì Tel Aviv ha chiuso il valico di Kerem Shalom, l’unico da cui transitano medicine e cibo.

Anche in questo caso Israele ha citato il lancio di aquiloni incendiari, confermando di fatto l’uso di misure etichettabili come punizioni collettive. Ora, aggiunge, Tel Aviv, saranno fatti entrare beni solo su base individuale, si valuterà caso per caso.

Intanto le operazioni aeree israeliane si fanno più frequenti, come il lancio di missili, di cui è stato difficile in passato attribuirne la paternità vista l’assenza di effettive rivendicazioni: dall’agosto 2014 Hamas non ha più compiuto azioni, evitando di violare il cessate il fuoco, con gli sporadici lanci degli anni passati imputabili a milizie islamiste minori.

Stavolta è il portavoce di Hamas, Fawzi Barhoum, a mettere per iscritto la «rivendicazione» collettiva dell’azione, senza però attribuirla direttamente agli islamisti: «A seguito dell’aggressione spietata di Israele che ha colpito Gaza sabato mattina, le fazioni della resistenza palestinese hanno risposto in modo appropriato».

E se nelle settimane passate sono proseguiti i tentativi di mediazione egiziani, con Il Cairo che intende imporre a Gaza la fine delle proteste, secondo il quotidiano israeliano Haaretz in questi giorni era stato l’esercito israeliano a inviare messaggi (via intermediari) alla leadership di Hamas per far cessare il lancio di aquiloni.

Non la sola strategia, anzi: il governo israeliano sta valutando una serie di opzioni, riportava ieri il Times of Israel, tra cui l’omicidio mirato di alcuni leader del movimento islamista e l’uso di forze di terra. L’obiettivo è chiaro: porre fine alla Grande Marcia del Ritorno, iniziativa popolare che non intende cessare e che ha già creato più di un imbarazzo a Israele. Ieri Netanyahu ha promesso di «estendere la reazione»: «Se Hamas non ha compreso il messaggio, lo comprenderà domani», ha detto convocando per oggi il consiglio di difesa.

In mezzo si inseriscono Egitto e Nazioni unite: Il Cairo lavora a una tregua, secondo fonti egiziane al sito Walla, mentre l’inviato Onu per il Medio Oriente Mladinov avrebbe incontrato funzionari egiziani e israeliani. Ma Israele ha già sul tavolo le sue precondizioni, comunicate a Egitto e Usa: nessuna escalation solo se terminerà il lancio di aquiloni.

La tensione si alza mentre Washington è impegnata in visite alle corti arabe per ottenere sostegno all’Accordo del Secolo. Il Cairo è una di loro e ha già detto sì.

* Fonte: Chiara Cruciati, IL MANIFESTO

 

photo: By gloucester2gaza [CC BY-SA 2.0 ], via Wikimedia Commons



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